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La tomba di Alessandro Scarlatti è a Napoli

1685. Nella Chiesa di Santa Maria della Carità, a Napoli, si sta celebrando un battesimo. Don Domenico Marzio Carafa duca di Maddaloni, rappresentante di una delle più nobili famiglie aristocratiche napoletane, si alza dal suo banco, e accompagna solennemente il neonato al fonte battesimale. Chi era quel bambino, introdotto ai primi Sacramenti da un personaggio così importante? Domenico Scarlatti, figlio di Alessandro Scarlatti, musicista in grado di fulminare il Duca di Maddaloni al primo incontro, pochi anni prima.

Non il figlio di un Sovrano, non il figlio di un Marchese, ma il figlio di un musicista, ottenne l’onore di avere per “padrino” una delle personalità più influenti della Napoli seicentesca. Tutto merito del papà, si direbbe oggi. Sei anni prima, infatti, il Duca di Maddaloni era ospite nel salotto romano del Marchese del Carpio, quando ascoltò per la prima volta “Gli Equivoci nel Sembiante”, opera del diciannovenne Alessandro Scarlatti.

Questo siciliano che in così poco tempo s’era meritato la stima e la protezione della Regina Cristina di Svezia incantò cuore e orecchie del Duca, che pur di portarlo con sé a Napoli, gli promise che avrebbe fatto rappresentare “Gli Equivoci nel Sembiante” anche nell’effervescente contesto partenopeo. Il giovane Alessandro accettò di buon grado, e il 2 Marzo del 1680 la sua opera fu rappresentata nella straordinaria cornice di Palazzo Carafa di Maddaloni.

In quell’occasione erano presenti alla rappresentazione della “commedia in musica” anche il Vicerè e la Viceregina, insieme ad una folla di dame e cavalieri, nobili e nobildonne cui venne offerta ogni sorta di prelibatezza in termini di bevande e pasticceria. Nacque così la felice storia d’amore, tra Napoli e Alessandro Scarlatti, facilitata anche dal fatto che a Roma il genere preferito da Alessandro veniva ostacolato dal Papa, che ne vietava la diffusione.

La storia d’amore tra Alessandro Scarlatti e Napoli durò finché il musicista non fu costretto a lasciare la città, nel pieno della sua fama, per ritrovare nuovi stimoli alla sperimentazione e per mere questioni finanziarie (lo stipendio che gli spettava in quanto maestro della Reale Cappella non veniva elargito con regolarità). Breve parentesi fiorentina, ma poi il richiamo della terra che l’aveva reso famoso si fece sentire.

Fu a Napoli che Alessandro trascorse gli ultimi anni della sua vita, fino al 1725. Ed è a Napoli che il suo corpo riposa da allora, in Santa Maria di Montesanto. La chiesa si trova di fronte a Piazza Montesanto, nei pressi della stazione della Metropolitana e della Cumana. Costruita a croce latina, presenta a destra quattro cappelle e a sinistra altrettante. La tomba di Alessandro Scarlatti si trova nella terza cappella a sinistra.

Tra Sant’Antonio da Padova, Angeli Custodi, una Madonna delle Grazie, un Cristo in Croce, una Sacra Famiglia, un San Giovanni Evangelista, ha modo di essere ricordata nella terza cappella a sinistra anche Santa Cecilia, la martire cristiana, divenuta protettrice dei musicisti grazie alla sua storia, commovente e significativa.

Era una nobile romana molto devota a Cristo, ma fu obbligata a sposare un ricco patrizio, secondo la consuetudine dell’epoca. Il marito e il fratello la sorpresero un giorno a cantare un inno religioso da lei composto, mentre si accompagnava all’organo. E nei pressi di quell’organo ai due sembrò di scorgere un angelo, rapito dalle note di Cecilia.

Si convertirono immediatamente al cristianesimo, e per il cristianesimo trovarono la morte a causa di una sepoltura fuori legge. Poco più tardi anche Cecilia fu incriminata, e condannata alla morte per soffocamento. Ma Cecilia non morì e costrinse le autorità ad orientarsi sui lidi più sicuri della decapitazione. Il martirio questa volta andò a buon fine.

Il fatto che la tomba di Alessandro Scarlatti si trovi all’interno di una cappella dedicata alla protettrice dei musicisti, di per sé avrebbe già una sua logica. Ma le ragioni di questo binomio sono altre. Scarlatti raggiunse in tempi record un privilegio che era concesso solo ai più grandi musicisti ed interpreti dell’epoca: far parte della Real Cappella di Palazzo, un’istituzione musicale prestigiosissima e d’elite, considerata un traguardo.

A partire dal 1600 circa, i musicisti che riuscivano a far parte della Real Cappella si riunirono in una confraternita, che aveva sede proprio nella chiesa di Santa Maria di Montesanto. La figura che simbolicamente li rappresentava era proprio Santa Cecilia, ma la Confraternita dei Musici probabilmente nacque inizialmente nel Conservatorio di Nuestra Señora de la Soledad di Napoli, all’interno del quale venivano cresciute le ragazzine nobili che necessitavano di un’educazione, anche di tipo strumentale.

Il fatto che ora Alessandro Scarlatti riposi in una cappella della Chiesa di Santa Maria di Montesanto, protetto da Santa Cecilia, è sì un atto di particolare riconoscimento ad uno dei massimi rappresentanti della musica napoletana, ma anche il giusto tributo nei confronti di quello che oggi sarebbe uno dei più grandi “direttori artistici” della Reale Cappella di Palazzo.

L’epigrafe, in latino, recita: “Qui giace il cavaliere Alessandro Scarlatti, uomo che si è distinto per padronanza di sé, generosità e bontà. Il più grande rinnovatore della musica, il quale – addolciti i rigidi suoni di una volta con nuova e straordinaria soavità – tolse all’antichità la gloria, alla posterità la speranza di imitare, caro in particolar modo a nobili e sovrani”.

La firma di queste parole, il Cardinale Ottoboni, mecenate, ammiratore, sostenitore, e fervido “fan” di uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, su quei tempi persino in anticipo, con un linguaggio musicale considerato esageratamente difficile per i gusti del tempo, superato mentre Alessandro era ancora in vita, da una generazione di innovatori che lui stesso aveva contribuito a formare, grazie al suo esempio.