Fu Svetonio, uno scrittore romano dell’età imperiale specializzato in bibliografie, a narrare le gesta di Nerone a Napoli. Stando ai racconti dell’uomo l’imperatore fece il suo debutto trionfale nel capoluogo campano nelle inedite vesti di un cantante all’interno di un prestigioso teatro. Nerone non si fermò nella performance neppure quando si rese conto che le gradinate dell’anfiteatro erano scosse da ondate sismiche. Si arrese solo quando ebbe terminato di allietare i suoi ospiti ed il brano fu terminato. E fu sempre Svetonio a svelare quanto quel teatro esercitasse un fascino magnetico su Nerone tanto da spingere l’imperatore romano a decidere di permanere ancora a Napoli per proseguire le sue esibizioni canore.
La passione per l’arte aveva stregato a tal punto l’imperatore romano che, si narra, non si fermasse mai. Gli unici momenti in cui decideva di concedere una tregua a se stesso e agli altri dal proprio canto era in occasione dei pasti e dei momenti di igiene personale. Anche in quel frangente però Nerone non smetteva di pensare al suo talento canoro e arrivava a promettere al pubblico esibizioni sempre migliori che fossero cioè all’altezza del suo nome. Come se ciò non bastasse l’imperatore romano decise di spingersi oltre scegliendo personalmente ogni componente del pubblico a cui era concesso assistere alle sue performance in modo tale da ricevere sempre applausi in grado di soddisfare il suo bisognoso ego.
Questa, almeno a quanto si narra, pare corrispondere leggenda ma, si sa, in questo tipo di racconto sono presenti, sì, elementi fantastici inerenti però a fatti storici realmente accaduti in luoghi e tempi, quindi, ben definiti. E non deve sorprendere, di conseguenza, la scoperta dell’esistenza del teatro di cui parlava Svetonio nel centro storico della città di Napoli. L’arena, per molto tempo, fu creduta essere proprio quella in cui usava esibirsi Nerone, col tempo però i ritrovamenti scoperti in detto sito archeologico hanno iniziato a raccontare un’altra storia e la voce di Nerone si è tramutata semplicemente in una lontana eco. Se è vero però che morto un Papa se ne fa un altro, è altrettanto sacrosanto, almeno a Napoli, che decaduta una leggenda ne viene riproposta immediatamente una successiva.
Ed è così che la storiella del vecchietto di nome Vittorio che fermava i turisti al centro storico di Napoli al grido di “Signò, volete vedere i resti di un tesoro antico? Stanno a casa mia, nelle mie cantine” divenne la nuova leggenda popolare. Ovviamente non si trattava di un invito formulato per accalappiare le ingenue vacanziere perchè, poco dopo, i visitatori che avevano l’ardire di entrare nel suo basso si trovavano ad assistere ad uno spettacolo davvero fuori dall’ordinario, come solo Napoli sa orchestrare ad arte. Nascosta da un letto a due piazze c’era, infatti, una vecchia corda legata ad una botola. Quando il vecchietto sollevava quel portello, improvvisamente, gli occhi dei visitatori si illuminavano alla vista dei resti in opus reticulatum e laterizio.
La visita turistica inusuale faceva guadagnare al vecchietto una lauta mancia. Alla morte del pover’uomo il teatro di Neapolis del I a.C. non era stato ancora scoperto ufficialmente. L’arena, infatti, ‘vide la luce’ solo alcuni anni più tardi. Nonostante il tempo trascorso ancora oggi è possibile accedere alla prestigiosa arena tramite l’insolito basso, situato al 4a di via San Paolo e sepolto al centro storico della città tra via Anticaglia, via San Paolo e vico Cinquesanti. Sembra impossibile ma è realtà. Addirittura il basso del signor Vittorio conserva ancora intatto il mobilio degli anni ’50 e, alla parete, tutti gli ex voto. Doveva trattarsi davvero di un teatro splendido, reso ancora più meraviglioso dall’accostamento di marmi bianchi e colorati di cui le gradinate sono ancora una viva testimonianza visto che, oltre Nerone, un altro imperatore romano, Claudio, lo usò come cornice per rappresentare alcune commedie in onore del fratello Germanico.
E non solo alcune testimonianze storiche parrebbero confermare la sua importanza nell’antichità visto che superava per grandezza con una capienza di oltre seimila posti i teatri di Pompei, Ercolano, Pozzuoli e Capua. La pratica adoperata per la sua costruzione fu l’opus mixtum, una fusione di tecniche utili a resistere ai terremoti. L’opus latericium serviva, infatti, a bloccare l’onda sismica mentre l’opus reticulatum era utile per la sua dispersione. L’opera venne interamente restaurata in età flavia ma con la caduta dell’impero romano, e complice un’alluvione, il meraviglioso anfiteatro venne abbandonato a se stesso tanto da essere letteralmente inghiottito, nel corso inclemente del tempo, dagli edifici moderni e i suoi ambiente che prima erano stati calpestati da personalità del calibro di Nerone e Claudio, ora, venivano adoperati come stalle, cantine e depositi fino a quando, nel 1859, il teatro non venne portato di nuovo alla luce grazie allo scavo di una fognatura.
Nonostante lo scempio e il degrado urbanistico di cui è stato vittima, alcune strutture del Teatro Romano di Neapolis, detto “dell’Anticaglia”, oggi, sono perfettamente visibili come, ad esempio, la summa plateia, il decumano superiore, e i resti dell’Odeion che fu ricostruito per ben due volte perchè distrutto in altrettante occasioni: nel 62 d.C a causa di un violento terremoto e nel 79 d.C in seguito all’eruzione del Vesuvio. Accanto al teatro, inoltre, furono rinvenuti i resti della casa del filosofo Metronatte che qui teneva una scuola di filosofia frequentata addirittura da Seneca. Insomma, un passato che ad oggi stenta nel suo tentativo di raccontarsi e di raccontare al mondo la sua storia nonostante l’acuto grido di dolore che ancora riecheggia tra i vicoli di Napoli pronti, ancora una volta, ad inglobare quanto di maestoso il tempo che fu è stato in grado di lasciare in eredità al capoluogo campano.