San Gennaro è Napoli. Difficilmente si trova in Italia, in Europa, nel mondo una simbiosi tanto profonda tra una città ed il proprio santo protettore. Ma oltre alla devozione del popolo, San Gennaro ha da sempre richiamato le attenzioni e il rispetto dei sovrani di ogni dinastia. Prova ne è l’immenso tesoro accumulato nei secoli, costituito da donazioni di oggetti devozionali e religiosi di inestimabile valore artistico ed economico. Quel tesoro è noto con il nome di Tesoro di San Gennaro.
A contribuirvi, in realtà, non sono stati solo re e imperatori. La storia del tesoro di San Gennaro passa attraverso Papi, nobili, aristocratici, malviventi. Chiunque disponesse di ricchezze tali da potersi permettere una donazione di assoluto pregio al Santo protettore della propria città, ha incrementato una collezione già dagli esordi superba, a tal punto da superare in valore quella della Corona d’Inghilterra e degli Zar di Russia. Questo tesoro ha reso di atto San Gennaro il Santo più ricco del pianeta.
A questo proposito vorremmo raccontarvi un aneddoto. In seguito ad una eruzione violenta del Vesuvio la folla chiese a gran voce di portare l’ampolla contenente il sangue di San Gennaro sul vulcano, nel tentativo di placarne la furia distruttrice. Il canonico del Duomo rispose seccato che “San Gennaro è un signore e non si scomoda per il primo venuto”.
Faceva riferimento ai nobili natali del Santo, che vantava già in vita un patrimonio di famiglia notevole. Ma un popolano gli contestò che Gesù per il popolo s’era scomodato, eccome. La risposta del prelato fu ancora più piccata: “Gesù era figlio di un falegname. San Gennaro di un senatore e di una patrizia. Rivolgetevi a Gesù e non scomodate San Gennaro”.
Se la fama di Santo ricco che si evince da questo aneddoto vi sembra eccessiva, state a sentire di quali tesori si può fregiare oggi il nome di San Gennaro. Settecento anni di donazioni hanno scritto la storia di una collezione senza eguali, che vanta pezzi unici, ideati e realizzati da artisti di prim’ordine. Scopriamone insieme alcuni dei più prestigiosi.
IL BUSTO DI SAN GENNARO
Carlo II d’Angiò decide nel 1305 di celebrare i mille anni dalla morte di San Gennaro. Lo fa commissionando a tre orafi francesi (Etienne Godefroy, Milet d’Auxerre e Guillaume de Verdelay) un busto del Santo Protettore di Napoli, destinato ad accoglierne le ossa del cranio. Ne vien fuori un capolavoro dell’oreficeria gotica: un busto in oro e argento che offre al mondo un’icona eterna del Santo. Non più un’idea, ma un volto.
Per comprendere l’importanza della commissione di Carlo II d’Angiò, basti sapere che quei tre orafi danno un impulso all’arte della lavorazione dell’oro e dell’argento talmente prodigioso da far nascere a Napoli la prima corporazione degli orafi al mondo. Una corporazione che sull’onda del busto di San Gennaro riacquista la notorietà e il prestigio di un tempo, fino ad ottenere dal 1600 al 1700 (quattro secoli dopo), il 60/70 % delle commissioni europee.
LA COLLANA
Sulla collana di San Gennaro è impressa l’intera storia di Napoli. Sovrani, imperatori, governanti, hanno voluto ognuno arricchire la collana con pendenti straordinari. La collana, ancora priva di molti degli orpelli che l’avrebbero invasa nei secoli a venire, fu realizzata nel 1679 da Michele Dato, in collaborazione con altri artigiani dell’epoca.
Tredici maglie d’oro massiccio dovevano servire nelle intenzioni dei committenti ad impreziosire il collo del busto fatto realizzare da Carlo II d’Angiò. Ma chi erano questi committenti? L’idea partì dalla Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro (di cui parleremo in seguito). Per la realizzazione bisognò attendere cinque mesi.
Cinque mesi per il corpus iniziale. Tre secoli per tutto ciò che vi fu aggiunto successivamente. Nel 1734 Carlo di Borbone offrì una croce, così come Maria Carolina d’Austria nel 1775 e Vittorio Emanuele II di Savoia. Nel 1806 venne aggiunta anche la croce donata da Giuseppe Bonaparte. Un dato significativo, visto che Napoleone era solito depredare, non integrare. Per San Gennaro si fece un’eccezione.
L’aggiunta più recente risale al 1933, quando Maria Josè (la consorte di Umberto II di Savoia), trovatasi nell’imbarazzo di non aver portato nulla al Santo, pur facendo visita alla sua Cappella, si sfilò un anello e lo consegnò alla collezione. Quell’anello oggi è l’ultima delle giustapposizioni preziose della favolosa collana di San Gennaro.
LA MITRA PASTORALE
Per realizzare la mitra pastorale, destinata ad ornare il capo del busto di San Gennaro è stato necessario il contributo di Carlo III di Borbone, della Deputazione, delle ricche famiglie aristocatiche della città, di parte del clero (in particolare dei monasteri), dei commercianti, della borghesia, e persino il popolo è stato chiamato in causa, e ha risposto ben volentieri
E così nel 1713 ha visto la luce la mitra più sfarzosa di tutti i tempi, grazie all’elaborazione di Matteo Treglia, maestro orafo proveniente dall’Antico Borgo Orefici, laboratorio di fondazione angioina dal quale sono usciti i migliori artisti del campo. Venti chili di oro e argento tempestati da 3894 gemme preziose, così suddivise: 3326 diamanti, 198 smeraldi, 164 rubini, e 2 granati.
Non di solo sfarzo si tratta. Dietro la scelta delle pietre preziose c’è una precisa simbologia religiosa, confermata da tradizioni secolari: i rubini rappresentano il sangue dei martiri, di cui San Gennaro fa parte, gli smeraldi proiettano il Santo in un’aura di eternità e potere, i diamanti simboleggiano la Fede più solida e pura.
BUSTI D’ARGENTO
Il tesoro di San Gennaro comprende anche 54 busti d’argento, all’interno dei quali figurano i 51 compatroni di Napoli. Si dice infatti che Napoli abbia sofferto di così tanti problemi nel corso della sua storia millenaria, da richiedere il supporto di altri 51 Santi, per poter rimanere a galla al centro di eventi tanto infausti quali pesti, terremoti, pestilenze, guerre, e quant’altro.
I 51 compatroni d’argento un tempo erano utilizzati nella processione che a maggio li vedeva sfilare per le strade della città, alla quale partecipava grandissima parte del popolo, scortata dal clero che in prima fila guidava l’immenso corteo di martiri, vergini, e santi d’argento, con in testa ghirlande fiorite, eco lontana di riti pagani antichissimi.
ALTRI OGGETTI PREZIOSI
La collezione non finisce certo qui. Ci sono oggetti sacri di ogni tipo, piccoli e grandi gioielli dell’arte orafa napoletana. Papa Pio IX donò un calice di oro zecchino da 3000 ducati; la famiglia Spera donò nel 1707 una croce in argento e coralli; re Ferdinando IV donò nel 1761 un calice in oro e diamanti; Gioacchino Murat donò nel 1808 l’ostensorio in oro, argento e rubini.
Altro ostensorio fu donato da Maria Teresa d’Austria in occasione delle sue nozze con Ferdinando II, il quale aveva già donato qualche anno prima una pisside costellata di gemme. Nel 1878 altra croce in oro, diamanti e smeraldi, donata al Santo Patrono dai consorti reali Umberto I e Margherita di Savoia. E tanto, tanto altro ancora
LA CAPPELLA E L’ATTO NOTARILE DELLA DEPUTAZIONE
Da cinque secoli vegliano su questo immenso tesoro i membri della Deputazione, un organo ufficializzato solo di recente, costituito dai rappresentanti delle principali famiglie storiche e nobiliari di Napoli. Sono proprio loro ad aver commissionato la splendida Cappella del Tesoro di San Gennaro, un tesoro anch’essa. La sua storia ha dell’incredibile.
Agli albori del 1500 Napoli era flagellata da tre piaghe: la peste, la guerra franco-ispanica, e l’eruzione del Vesuvio. La città era in ginocchio, e richiedeva un intervento massiccio del Santo Patrono. Nel 1527 alcuni nobili della città si fecero portavoce di quest’urgenza, e depositarono presso un notaio un vero e proprio contratto con San Gennaro.
L’atto notarile, che si può ammirare ancora oggi tra croci, mitre, pissidi, e busti d’oro e d’argento, riportava nero su bianco quanto San Gennaro e i primi membri della Deputazione si impegnavano a fare: San Gennaro avrebbe spazzato via le tre piaghe da Napoli, e i nobili aristocratici avrebbero eretto in suo onore la Cappella più bella di tutti i tempi. La Cappella è lì. San Gennaro, evidentemente, mantenne la promessa, anche senza firmarla.
TRASFERIMENTO A MONTECASSINO
La proverbiale inviolabilità del Tesoro di San Gennaro, però, non è stata mantenuta per così tanti secoli solo grazie alle mura della Cappella. In passato gli eventi hanno richiesto fughe e spostamenti necessari a garantire la sicurezza di una collezione tanto inestimabile di oggetti preziosi. Il primo di questi spostamenti avvenne durante la Guerra Mondiale.
Il principe Stefano Colonna di Paliano, vice presidente della Deputazione della Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, fece trasportare tre casse contenenti il materiale più prezioso del Tesoro nell’Abbazia di Montecassino. L’abate Diamare non si tirò indietro e conservò quanto gli consegnarono all’interno della biblioteca, dove i monaci tenevano quanto di più prezioso possedevano già.
TRASFERIMENTO A ROMA
Si pensava la neutralità del monastero sarebbe stata rispettata, ma così non fu perchè Montecassino era considerata strategica nell’ambito della strategia difensiva tedesca. E quando i tedeschi bussarono alla porta del monastero, si imbastì un’operazione di camuffaggio del Tesoro di San Gennaro, degna dei migliori film d’azione.
Il tesoro, nascosto tra codici antichi ed effetti personali dei monaci, fu caricato sulle auto dei tedeschi, inconsapevoli di quanto stavano trasportando, e consegnato a San Paolo fuori le mura. Era il lontano 1943. Il Vaticano fu interpellato al fine di custodire momentaneamente il tesoro, e nonostante le iniziali reticenze, accettò. Un anno dopo l’abbazia di Montecassino fu rasa al suolo dai bombardamenti alleati. Un tragico errore. Ma il Tesoro era stato appena messo in salvo.
IL RITORNO DEL TESORO A NAPOLI
Non meno rocambolesco fu il trasferimento del tesoro da Roma a Napoli. Si diceva che una volta venuto in possesso del Tesoro, il Vaticano non volesse più lasciarlo tornare nella sua città di appartenenza. Ma i documenti testimoniano tutt’altra storia. Le sollecitazioni del Vaticano inviate alla Deputazione affinché si riprendesse il tesoro, partono dal 1945.
La Deputazione, dal canto suo, consapevole di tutti i rischi legati al viaggio del Tesoro da Roma a Napoli, prendeva tempo, tergiversava, ma aveva in realtà già stabilito che il Tesoro sarebbe stato molto più al sicuro all’interno delle mura del Vaticano. A sbloccare l’impasse non fu, infine, né il Vaticano, né il Principe ormai novantenne Stefano Colonna di Paliano.
Ci pensò Giuseppe Navarra, malvivente più noto con l’appellativo di Re di Poggioreale. Si offrì di scortare il tesoro a Napoli con l’aiuto dei suoi uomini. I responsabili del Tesoro, considerati anche i secchi rifiuti dell’esercito americano e dell’esercito francese, loro malgrado furono costretti ad accettare la gentile offerta del boss. Il Re di Poggioreale mantenne la promessa.
Ci fu, in realtà, un tentativo di sottrazione indebita da parte di clan campani rivali. Ma il boss aveva i suoi informatori, e riuscì ad aggirare il problema cambiando percorso ed evitando l’imboscata letale. Il tesoro fu riportato a Napoli, intatto. E Giuseppe Navarra non chiese nulla in cambio. Gli bastò eternare il proprio nome grazie ad un’azione ben più nobile del titolo di cui s’era fregiato.