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Il mistero della lapide di Via San Nicola dei Caserti

Avete mai sentito questo proverbio: “Dio m’arrassa da mali vicine, d’arraggia canina,e d’a buscìa e ommo da bbene!”.? Vuol dire letteralmente “Dio mi scampi dai vicini cattivi, dalla rabbia dei cani, e dalle bugie degli uomini perbene”. Alle spalle di questo detto popolare c’è una lapide, vera, reale, antichissima, che recita le seguenti parole: “Dio m’arrassa da invidia canina, da mali vicini, et di bugia d’homo dabene”.

Da dove proviene il termine “arrassa”, e dove si trova questa lapide, saranno le prime domande a cui risponderemo. Per il resto si tratterà di addentrarsi nei meandri di una macabra vicenda, per spiegare “cosa” ha spinto “chi” ad ordinare la realizzazione di quella lapide. Una vicenda molto più tragica di quanto non traspaia dal tono scanzonato e popolaresco dell’antica iscrizione.

“Arrassusìa” era una vecchia esclamazione che serviva ad esorcizzare l’eventualità di un pericolo o una tragedia. Deriverebbe da “Arrasso”, a sua volta derivato dallo spagnolo “Arrada”, che significa “Lontano”, e unitamente al “Sia” forma l’allocuzione “Lontano sia”. Una variante è proprio quella utilizzata per la lapide: “Dio m’arrassa”.

La lapide è in realtà un blocco di marmo fatto incastonare nel muro di un palazzo, che riporta la scritta su citata. Attualmente se ne può osservare una copia in luogo dell’originale, in Via San Nicola dei Caserti. Ma la vera lapide è stata sistemata a partire dal 1893 in un portale che collega il chiostro al cortile del vecchio ospedale S. Maria della Pace, lì nei pressi.

Questi luoghi sono in un certo senso anch’essi protagonisti della storia che stiamo per raccontarvi. Quello che oggi ospita alcuni uffici del comune e del Giudice di Pace fu un tempo un Ospedale di tutto rispetto, una Chiesa, ed un Convento. E prima ancora di ricoprire tutte queste funzioni, era stato il palazzo di uno degli uomini più potenti della Napoli del 1400.

Quest’uomo era Sergianni Caracciolo, Gran Siniscalco del Regno (sovrintendente al palazzo del re), nonché instancabile amante della regina Giovanna II d’Angiò. Instancabile nella misura in cui portò questa relazione avanti per ben sedici anni, approfittando della sua posizione per influenzare le decisioni politiche della regina a suo vantaggio.

Possedeva già un palazzo di tutto rispetto, ma se ne fece edificare un altro, in Via dei Tribunali, nei pressi di Castelcapuano, residenza della Regina, per risparmiare evidentemente tempo ed energie in vista dei suoi incontri molto privati. La sua sfrenata ambizione culminerà in una congiura, ordita alle sue spalle, nella quale Sergianni Caracciolo troverà la morte.

Siamo nel 1432, ed il Palazzo dei Caracciolo è ancora di proprietà della famiglia. Circa 150 anni più tardi i Caracciolo si ritrovano al fianco di nuovi vicini di casa. Si tratta dei Padri di San Giovanni di Dio, giunti a Napoli nel 1500, nella Chiesa di Santa Maria ad Agnone. Il loro “quartier generale” si trovava proprio di fronte all’entrata principale di residenza Caracciolo.

Qualche decennio di pazienza, ed ecco presentarsi ai Padri di San Giovanni di Dio un’occasione imperdibile per “espandere” i propri confini. I discendenti dei Caracciolo mettono in vendita l’enorme palazzo di famiglia. I Padri sono i più lesti ad approfittarne, e con le finanze accumulate in decenni di attività e donazioni, comprano l’immobile.
Ne faranno in tempi rapidissimi un ospedale (1587), coerentemente alla missione primaria della loro confraternita (erano chiamati anche i Fatebenefratelli). Nel 1629 cominciarono i lavori per la costruzione di una Chiesa, ultimata nel 1659 e dedicata a Santa Maria della Pace, in onore della pace siglata tra Luigi XIV di Francia, e Filippo IV di Spagna.

A questo punto comincerete a comprendere il perchè di questo lungo excursus, necessaria premessa alle parole della lapide misteriosa. L’ex Ospedale della Pace è proprio il luogo nel quale ora si trova quell’iscrizione. In una via che costeggia quell’enorme complesso monumentale ha inizio la nostra storia.

Si tratta precisamente di Via San Nicola dei Caserti, esattamente la via in cui oggi ritroviamo una copia di quella lapide. Lì, al numero 20, viveva nel 500 un ricco signore napoletano. Si sa, la ricchezza ed il benessere ostentato attirano spesso l’invidia di chi si trova ad osservarlo ogni giorno, suo malgrado. Nella fattispecie, i suoi vicini di casa.

Spinti probabilmente anche da altri ignoti motivi, questi vicini riescono ad incriminare il ricco signore addirittura di omicidio. Dopo regolare processo, falsato da numerose false testimonianze, l’accusa si tramuta in una condanna a morte. Ebbene si, la calunnia non è un’invenzione moderna, e l’uso perverso che se ne fa in certi casi, non ha tempo.

Il ricco signore napoletano, prima di morire, redasse un testamento nel quale lasciava tutti i propri beni ai Padri di San Giovanni di Dio. Stando alle tempistiche, parte di quei beni fu investita nell’acquisto del palazzo dei Caracciolo, che sarebbe diventato l’Ospedale della Pace. Pose però a questa munifica elargizione di denaro una condizione.

I Padri di San Giovanni di Dio avrebbero dovuto provvedere ad affiggere sulla vecchia abitazione del ricco signore una lapide, che avrebbe ammonito le future generazioni di napoletani a diffidare delle persone che appaiono troppo perbene, dell’invidia dei cani, e della cattiveria dei vicini.

L’invidia dei cani di cui parla il ricco possidente non può che simboleggiare la predisposizione dell’uomo a mordere i propri simili. Notevole anche quella sorta di ossimoro che lega la bugia all’uomo perbene (che non dovrebbe dirne). E’ più facile per le persone che godono di grande stima risultare credibili e attendibili anche quando mentono.

Era questa la ragione per cui la testimonianza dei vicini di casa del malcapitato ebbe successo in tribunale: godevano di grande stima presso la comunità. Quella stessa stima che mandò al patibolo un innocente, per inconfessate ragioni. Ma quell’innocente, visto che la sua versione non fu ritenuta credibile dai suoi contemporanei, la incise a beneficio dei posteri.

E pose oltretutto una postilla nel testamento: se i Padri Ospedalieri avessero rimosso la lapide, tutti i beni del ricco condannato a morte sarebbero andati all’Ospedale degli Incurabili. Di questo non parla Benedetto Croce, a cui si deve la maggior parte delle informazioni riguardo la lapide in Via San Nicola dei Caserti.

Ma c’è chi dice che il ricco signore incaricò qualcuno di controllare periodicamente l’adempimento delle proprie volontà, che quindi la lapide fosse al suo posto. C’è anche chi tra i frequentatori di quella zona, ancora oggi giura di aver visto una figura vestita con abiti di un tempo che fu, guardare la lapide, e svanire nel nulla.