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Baby gang a Napoli, e la città diventa un “far west”

Baby gang e giovani delinquenti, sono quei ragazzi che in gruppi alimentano una vera e propria microcriminalità giovanile organizzata. Diffusasi principalmente nelle province e nelle zone degradanti della città, le cosiddette baby gang sembrano essere dei carri armati viventi, fatte di ragazzini, che assumono condotte devianti a scapito di persone o cose.

Le aggressioni compiute da gruppi di minori, negli ultimi anni, sono aumentate esponenzialmente e salite spesso agli onori di cronaca. Ad oggi, le periferie rimangono le zone più colpite anche se, inevitabilmente, i continui tumulti ed episodi di aggressione si stanno spostando nel contesto metropolitano. Rapine, spaccio e violenza gratuita sono all’ordine del giorno. Napoli è, purtroppo, il luogo per eccellenza in cui proliferano bande di ragazzini senza etica e valori, affamate di soldi e potere che corrono su e giù per le strade partenopee ad imporre le loro assurde regole. Il 22 settembre 1985, il giornalista Giancarlo Siani, vittima della camorra, ha scritto il suo ultimo articolo. Nel pezzo pubblicato su Il Mattino cita i cosiddetti “muschilli”, moscerini invisibili, imprendibili e sacrificabili.

Utilizzati dalla malavita per i loro loschi affari, i baby corrieri arrivano a guadagnare tra i 400 e i 500 euro alla settimana. Soldi facili per un ragazzino a cui è affidata una “semplice” consegna. Un “ruolo“, quello da intermediario, che gli spacciatori senior attribuiscono ai minori per non correre rischi diretti. Un sistema preciso e organizzato con lo scopo di garantire enormi profitti con una bassa percentuale di rischio. Oggi, però, i “muschilli” non esistono più, o quanto meno si sono evoluti. L’educazione criminale è divenuta più complessa, il potere e i soldi accecano la mente delle baby gang consapevoli della loro forza cercano di rovesciare i poteri interni alla camorra prendendo degli spazi sul territorio o approfittando di vuoti di potere.

Una volta, il sistema era impeccabile. Per entrare nel giro serviva un’età minima e un certo tipo di esperienza criminale. Quello che in gergo si definiva come il coraggio di fare “o piezz”, ovvero, “l’omicidio“. Dopo aver dimostrato le proprie capacità, la camorra era pronta a inserire il soggetto all’interno della propria compagine, garantendogli il ruolo più adeguato e una prospettiva di crescita. False promesse e speranze alimentavano le giovani menti che sembravano essere facilmente manipolate. Attualmente, però, sembra esserci stato una sorte di cambiamento. Sì, perché, gli attuali giovani sembrano essere impazienti di fare “carriera” e non vogliono “accontentarsi” di ciò che gli viene proposto dai clan tradizionali.

Oggi, per questo, ci sono i cosiddetti “cani sciolti“, autentiche “mine vaganti” pronte a esplodere in qualsiasi momento, senza alcun tipo di codice, se di codice camorristico si può parlare. L’esperienza criminale è stata sostituita dalla ferocia delle gesta. L’aggregazione in gruppo diventa così l’incentivo principale, il meccanismo di iniziazione, per l’ascesa al potere. Soldi, potere e rispetto, sembrano essere i capisaldi sacri che vigono all’interno delle baby gang. Impazienti quanto imprudenti, questi giovani non temono il carcere né la morte. A poco a poco ottengono il controllo delle piazze di spaccio e la supervisione dei territori, sottraendoli con la forza ai boss locali, creando delle vere e proprie faide.

Secondo studi psicologici, l’attrazione verso questo tipo di vita è da imputare a particolari vissuti o carenze affettive. Ragazzini con condotta deviante godono di maggiori libertà e minori restrizioni, le condizioni che permettono tali anomalie riconducibili non solo agli ambienti degradati ma quelli che possono essere, vari criteri. Parliamo perciò di inadeguatezza della vita familiare, ovvero la noncuranza; fallimento dei valori; ma anche di crisi delle istituzioni, con in primis la scuola, la mancanza di una figura di rilievo che possa mantenere le redini della famiglia.

Il cardinale Crescenzio Sepe ha dichiarato in merito: “Questi ragazzi, non è che abbiano tante possibilità, tante scelte da poter fare”. Inoltre il cardinale ha anche una soluzione che però non è così semplice come sembra: “Bisogna occuparli con un lavoro onesto, con un’educazione che sia veramente solida per dare loro un po di fiducia. Bisogna, insieme, sconfiggere questo fenomeno pericoloso per la nostra società, per le nostre comunità, offrendo loro della positività, offrendo loro delle opportunità su cui poter costruire la loro vita”. Attualmente, la lotta alla microcriminalità è sempre più ardua, l’unico scopo delle baby gang, pare essere, quello di riprendersi una rivincita nei confronti della vita. Andare oltre la materia tangibile, prendersi ciò che si vuole a discapito delle istituzioni e sopratutto del senso civico e del saper vivere in comune. Lo Stato e le istituzioni, però, spesso fingono di non vedere e continuano ad abbandonare a se stessi il destino di questi ragazzini.

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