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La preziosa medaglia miracolosa con la capa ‘e Sant’Anastasio

C’era un tempo in cui i nonni donavano ai nipoti i santini di carta (trattati ovviamente alla stregua di figurine dei calciatori), e tempi in cui nonni ancora più anziani erano soliti donare ai nipoti le medagliette dei santi, molto più serie e solide delle “figurine”, ed in quanto tali, più rispettate. Ad andare per la maggiore, a quei tempi, era la medaglia della testa di Sant’Anastasio. A Napoli, ‘a capa ‘e Sant’Anastasio.

Un po’ lugubre, certo, l’idea di consegnare la testa di Sant’Anastasio impressa su una medaglia, ma se si pensa agli incredibili poteri di questo oggetto, a metà tra la Fede e la superstizione, a quei nonni non si può non voler bene: consegnavano ai loro nipotini una delle garanzie più certe che non sarebbero stati mai intaccati da forme di malocchio o incantesimi vari.

Un potere del genere racchiuso in un tondino di stagno grande non più di una moneta da 5 centesimi, merita qualche spiegazione. E tutto quanto c’è da sapere è nelle poche notizie che ci pervengono circa la vita di Sant’Anastasio. Siamo in piena guerra tra gli ultimi regnanti del grande impero persiano, e il rampante impero bizantino. Nel 614 Cosroe II, leggendario comandante persiano, effettua una manovra militare di ampio respiro.

Conquista al contempo Mesopotamia, Siria e Palestina. Gerusalemme ovviamente è la preda più ambita. Tra i bottini di guerra vi sono i resti della vera Croce su cui morì Gesù Cristo. Sant’Anastasio, che ai tempi si chiamava Magundat e militava nell’esercito di Cosroe, pur essendo cresciuto nel mito di Zoroastro, volle approfondire il perchè di una devozione, quella cristiana, tanto inconcepibile.

Perché adorare una Croce, simbolo di tortura e sofferenza? E perchè morire a centinaia, come facevano i martiri cristiani, in nome di un ideale? Tutte queste domande trovarono risposta per merito di un amico di Magundat, un cambiavalute persiano di religione cristiana. L’amico di Magundat lo portava alle messe cristiane, in Gerapoli, per fargli meglio comprendere i misteri di quella religione.

Magundat ne venne talmente affascinato che, abbandonato il servizio militare, volle recarsi a Gerusalemme per ricevere il Battesimo direttamente dal Vicario Generale della Chiesa Cristiana di Gerusalemme, che esercitava le funzioni del patriarca Zaccaria, momentaneamente detenuto. Il giorno del Battesimo, Magundat assunse il suo nome cristiano, che volle essere Anastasio, letteralmente “il risorto da morte a vita”.

E la nuova vita di Anastasio cominciò a 6 miglia da Gerusalemme, in un monastero all’interno del quale imparò il greco e lo strumento tipico della musica greca, il salterio. Venne considerato degno di indossare l’abito monastico nel 621, e da lì in poi la sua vita si impose come esempio auspicabile per tutti i suoi confratelli. Sette anni durò questo idillio, finchè non accadde ciò che ancora oggi dà potere a quella medaglia.

Durante un viaggio a Cesarea di Palestina, territorio ancora in mano ai persiani, gli capitò di riprendere duramente un gruppo di soldati che praticavano un maleficio. La ovvia reazione dei soldati non fu certo delle più accomodanti. Anastasio fu preso di forza, torturato a suon di frustate e bastonate, ed abbandonato pesto e sanguinante nelle prigioni.

In virtù dei suoi trascorsi nell’esercito persiano ad Anastasio fu concessa un’opportunità: gli sarebbe stata resa la libertà se avesse rinunciato al cristianesimo anche di fronte ad un solo testimone. Anastasio rifiutò, scatenando le ire dei suoi aguzzini. Trascinato a Bethsaloen (Sergiopoli) in Assiria fu ulteriormente torturato, costretto a guardare con i suoi occhi gli effetti del suo rifiuto sui corpi di due suoi compagni e altri 66 cristiani, massacrati, e alla fine, decapitato egli stesso.

Era il 22 gennaio del 628. Dieci giorni dopo che i persiani si macchiarono di quest’omicidio, Cosroe, il loro generale, fu sconfitto ed ucciso dai suoi stessi soldati. L’anno seguente la Vera Croce ritornò a Gerusalemme, e una decina di anni più tardi le spoglie di Sant’Anastasio furono trasportate a Roma, nel monastero delle Aquae Salviae. Nel 1570 il Messale Romano sancì il giorno di commemorazione del Santo: il 22 gennaio.

Altro documento ufficiale, il Martirologio Romano, recita a proposito di Sant’Anastasio, queste parole: “Presso Betsàloe, nell’Assiria, sant’Anastasio,[…] infine fu decollato[…]. Il suo capo fu trasportato a Roma, alle Acque Sàlvie, insieme con la sua venerabile immagine, al cui cospetto, come attestano gli atti del secondo Concilio Nicéno, vengono scacciati i demoni e guarite molte malattie”.

Gli vengono insomma ufficialmente attribuiti poteri taumaturgici. L’immagine di Sant’Anastasio, ed in particolare del suo capo, erano in grado di guarire da fenomeni di possessione diabolica, e da molte malattie. Ma ciò che presso il popolo s’era diffuso ancora prima dell’ufficialità sancita dal Concilio di Nicea, fu la convinzione che l’effige di Sant’Anastasio proteggeva dal male, ed in particolare, dal maleficio.

Fu proprio per aver impedito un maleficio a quel manipolo di soldati persiani, che Sant’Anastasio andò incontro al suo martirio. E quell’episodio scatenante, ne fece presso il popolo napoletano, il campione contro ogni forma di malocchio. Prima ancora ritroviamo attestazioni di devozione popolare nel mondo romano, sotto forma di medagliette di piccole dimensioni, rappresentanti la testa di Sant’Anastasio.

‘A capa ‘e santu Nastàsio, in bassorilievo su medagliette di stagno, come si usava una volta, è oggi una rarità assoluta. Consigliamo a chi la possiede, di conservarla per bene, non solo perchè “non si sa mai”, ma anche perchè la medaglietta ha un certo valore economico, considerando che non è certo diffusa come un tempo. Solitamente si accompagna con la scritta “Immago S. Anast. Mun. Et. Mart. Cujus Aspec Fuga, Demo, Morbo, Repe, Acta, Concilii Ni, Te”, che ricorda i poteri del Santo, sanciti dal Concilio di Nicea.