Se si vuol parlare della fondazione di Napoli, si deve far riferimento a Parthenope, città fondata nell’VIII secolo a.C. dai cumani (coloni greci). Neapolis è il nome assunto dalla città in occasione della sua rifondazione, o di un nucleo limitrofo successivo. Fin qui i dati storici. Ma se cominciamo a chiederci il perchè quel primo nucleo cittadino fu chiamato Parthenope (o Partenope), le carte cominciano ad imbrogliarsi.
Partenope è la protagonista di due leggende del tutto differenti. La prima narra di una fanciulla bellissima, figlia di un re greco, promessa sposa ad un uomo, ma innamorata di un altro. Con quest’ultimo fugge verso lidi lontani, e la loro armonia si riflette sul territorio che scelgono come dimora, inondandolo di ricchezze e prosperità. Più tardi i due amanti verranno raggiunti dal re e da tanti altri coloni, pentiti di aver ostacolato la loro storia d’amore.
Nella seconda leggenda Parthenope non è una fanciulla, ma una delle tre sirene che tentarono di fermare il viaggio di Ulisse, fallendo. Il dolore per non essere riuscite ad irretire Ulisse, l’amore non corrisposto, e l’orgoglio, le portarono al suicidio. I loro corpi furono trasportati dal mare in tre direzioni diverse. Il corpo di Parthenope, in particolare, approdò sull’isolotto di Megaride (allora legato alla terraferma), dove oggi sorge Castel dell’Ovo.
Partenope, in entrambi i casi, per ovvie ragioni di forza maggiore, è morta. La sua notorietà avrebbe dovuto garantirle un sepolcro, una tomba, un monumento funebre, un qualcosa di imperituro, che potesse rendere testimonianza della sua storia nei secoli. E invece, nulla. Non c’è alcuna traccia significativa della sua sepoltura. Solo indizi, accenni, come se il farsi seguire di Partenope, caratteristico di entrambe le leggende, si protraesse ancora ai giorni nostri.
E noi la seguiamo, attraverso gli studi di eminentissimi storici, letterati, ricercatori, che si sono avvicendati nel tempo alla ricerca della tomba di Partenope. Il primo indizio ci conferma la semplice esistenza, senza alcuna indicazione riguardo il luogo preciso. Ce lo fornisce Boccaccio, nel Ninfale d’Ameto, del 1341-1342.
Egli racconta che il popolo dei cumani si era imbattuto, duranti gli scavi per la fondazione della città, in una tomba dall’aspetto regale, che recava questa iscrizione: “Qui Partenope vergine sicula morta giace”. Si dice inizialmente la cosa spaventò i cumani alquanto, tanto da farli desistere dalla fondazione. Ma successivamente i “segni” li portarono a tornare sui propri passi. Vago?
Volete un indizio più preciso, procurato da un letterato più moderno? Martin Rua, nel suo best seller “I nove custodi del sepolcro”, dopo essersi debitamente informato sull’argomento, suggerisce che la tomba di Partenope si trovi semplicemente dove è detto sia: su uno scoglio (nascosto e sommerso) di Megaride. Commerciale?
Altre opzioni non mancano. Suggestiva quella che vuole la tomba di Partenope costruita sotto il tetto del teatro San Carlo, vuoi per la vicinanza al mondo del canto, vuoi per la vicinanza al mare, vuoi per la statua che la raffigura proprio sul tetto nell’atto di incoronare due entità alate quali la musica e la poesia. Surreale?
Allora rivolgiamoci a studiosi di indubbia serietà: il Pontano ed il Celano. Entrambi considerano decisiva una lapide millenaria, presente in San Giovanni Maggiore, che riporta questa iscrizione: “Omnigenum Rex Aitor Scs Ihs Partenopem tege fauste” (o sole che passi nel segno del mese di gennaio, generatore di tutti i beni, proteggi felicemente Partenope).
Sembrerebbe la risposta definitiva. Questa lapide apparterrebbe quindi alla tomba di Partenope. Gennaio oltretutto è il mese dell’anno in cui la costellazione della vergine è meglio visibile (e Partenope significa vergine). Ma appare alquanto strano che l’imperatore Adriano fece costruire il tempio dedicato ad Antinoo, proprio sul sepolcro di Partenope, tanto cara a Napoli.
Pertanto la risposta potrebbe essere un’altra. Il sepolcro di Partenope si trovava sotto la Chiesa di Sant’Aniello, a Caponapoli. A supporto di questa tesi, elementi concreti. In seguito ai bombardamenti del ‘44, crollò il pavimento della navata centrale, ed emerse da lì una Napoli fino ad allora sconosciuta. Mura greche del quarto secolo, romane del secondo, ritrovamenti di vario genere, tra cui lei, Marianna.
Marianna, ‘a capa ‘e Napule (da cui Caponapoli), è conservata a Palazzo San Giacomo, nella sede del Comune di Napoli. Ma una copia antichissima fu estratta nel 1524 dalle fondamenta di San Giovanni a Mare, dove sembra la fece gettare l’imperatore Costantino, per eliminare ogni testimonianza di paganesimo dal suo regno.
La testa di Partenope, appartenente si ritiene ad una statua del suo sepolcro, rientrò lentamente a far parte del culto dei napoletani, tra alterne fortune. Nell’epoca della Repubblica Napoletana, fu addirittura mutilata e rimase senza naso. Successivamente il naso le fu ricostruito e si ricominciò ad attribuirle gli onori che le spettavano. Con un “ma”.
Per essere riaccolta nel cuore dei napoletani, Partenope fu costretta ad un “rito” di cristianizzazione. Nel 1800, quando si trovava di fronte alla Chiesa di Santa Maria dell’Avvocata, quella testa fu ribattezzata col nome cattolico di “Anna”. Dall’unione del nome della chiesa col secondo nome imposto tramite “battesimo” sui generis, nacque Marianna.
Resta il fatto che né le spoglie né la tomba di Partenope sono mai state ritrovate. E forse ci basta le cose stiano così come ce le descrive la leggenda: la sirena distesa sul golfo, che ne disegna la morfologia col corpo, la testa ad oriente, i piedi ad occidente. Ad essere ritrovate saranno ogni giorno le sue doti, che sono anche le nostre: l’amore, e l’orgoglio.