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Santa Patrizia ed Enrichetta, due misteri nel chiostro napoletano

Quando attraversiamo la scalinata confortevole che conduce al Convento di San Gregorio Armeno, e superato il portale ci si schiude davanti agli occhi una delle più belle visioni di Napoli, il celebre chiostro che intorno ad una splendida fontana con statue a grandezza naturale sprofonda nel verde, facciamo fatica a credere che questa anticamera del Paradiso sia stata preclusa all’umanità per così tanti secoli.

Se si prosegue nel cammino che porta al convento, si ha la possibilità di continuare a respirare quell’atmosfera contenuta e meditativa che accompagnava le monache di clausura nella loro vita spirituale, tra statue, statuette, intarsi lignei, bassorilievi, dipinti, affreschi. Tutte le arti sembrano convogliare in un’unica direzione: la preghiera. Ma un segreto queste mura non osavano rivelare. E al posto loro, parlò Enrichetta Caracciolo.

A fare scalpore non furono solo le rivelazioni di Enrichetta, diffuse attraverso un libro autobiografico dato alle stampe nel 1864; ma soprattutto il fatto che nello stesso anno in cui Enrichetta demoliva mattone per mattone la reputazione della chiesa di San Gregorio Armeno, la stessa chiesa fu scelta come sede definitiva delle spoglie di Santa Patrizia di Costantinopoli, compatrona di Napoli che fino ad allora riposava nel monastero di Caponapoli.

Si narra Patrizia fosse la nipote dell’imperatore Costantino, colui che fece del cristianesimo una “religione di Stato”. Per evitare il matrimonio cui la voleva costringere il padre e condurre una vita pia, a lei più congeniale, Patrizia fuggì di casa, approdò a Roma, si fece donare il velo verginale dal Papa, tornò in patria quando morì il padre, partì per la Terra Santa, e naufragò sull’isola di Megaride (Castel dell’Ovo).

Lì trascorse la sua breve vita, insieme ad altre che come lei avevano deciso di dedicarsi alla preghiera e alle opere pie. A soli 21 anni morì, ed il suo carro funebre, trainato da due tori, si fermò proprio nel luogo che lei aveva previsto sarebbe stata la sua tomba: il monastero dei SS. Nicandro e Marciano, a Caponapoli. Lì furono custodite le sue spoglie, proprio dove morì la sirena Partenope, un altro simbolo di Napoli, sul fronte pagano.

Secoli più tardi si narra di un devoto che, per eccesso di “entusiasmo”, strappò un dente dal teschio di Santa Patrizia. Dal foro provocato cominciò a sgorgare sangue che fu prontamente raccolto in un’ampolla, e che, rappreso, ogni 25 di agosto si scioglie miracolosamente di fronte a grandi folle di fedeli, non diversamente da quanto accade per San Gennaro.

Nel 1864, come abbiamo anticipato poc’anzi, Santa Patrizia fu trasportata a San Gregorio Armeno, chiesa di gran lustro. Nello stesso anno Enrichetta Caracciolo, una monaca ribelle, salì alla ribalta delle cronache per aver pubblicato un libro scandalo, che rivelava al mondo quanto la vita monastica di quella chiesa fosse ben diversa dall’immaginario comune.

Le circostanze che portarono Enrichetta a farsi suora furono del tutto opposte rispetto a quelle di Santa Patrizia. Lei sognava di sposarsi, ma la famiglia la obbligò a farsi suora a causa di difficoltà finanziarie. Nel monastero di San Gregorio Armeno poteva oltretutto contare sulla presenza di sua zia, la Badessa.

Ma quanto vide in quei luoghi, la sconvolse. Le monache non erano affatto creature dedite alla preghiera e alla contemplazione di Dio. Nel suo racconto diventano donne in preda alle stesse miserie di ogni donna comune: l’invidia, la gelosia, la corruzione, la cattiveria, sadismo erano accentuate dalla condizione di isolamento imposta dalla clausura.

Enrichetta racconta che San Gregorio Armeno custodiva, oltre alle spoglie della compatrona di Napoli, ogni sorta di tortura psicologica perpetrata ai danni di fragili ragazze ritrovatesi ad esser suore spesso per volontà non propria. E queste torture non era raro proseguissero fino al suicidio di giovani suore, incapaci di sopportare oltre le angherie delle superiori.

La stessa Enrichetta, decisa ad abbandonare la vita monastica, fu ostacolata in ogni maniera. Si arrivò persino a tenerla chiusa in prigione, finché per una serie di fortunate coincidenze, superato anche un estremo tentativo di darsi la libertà attraverso il suicidio, Enrichetta fu liberata e restituita al mondo.