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Cardinale Sepe nella bufera: “Ha coperto casi di pedofilia”, scatta la denuncia al Papa

All’interno della legge canonica “Come una madre amorevole“, scritta da Papa Francesco e approvata in Vaticano il 05 settembre 2016, vi sono le regole che stabiliscono i casi nei quali un vescovo può essere rimosso, se colpevole di gravi negligenze in merito a vicende riguardanti abusi sessuali. Questa normativa ha l’obiettivo, oltre che di punire il prelato macchiatosi di questo grave reato, anche di stabilire i termini per un risarcimento nei confronti delle vittime.

Con la presente lettera intendo denunciare il cardinale Crescenzio Sepe, per grave negligenza nell’esercizio del proprio ufficio“, questo l’inizio della lettera scritta da un uomo vittima di diversi abusi all’età di 13 anni. La denuncia è stata inviata a Papa Francesco. I fatti sono accaduti nel 1989 ma sono emersi solo nel 2010, quando dopo un malore la vittima ricoverata in ospedale, ha confessato tutto alla propria famiglia. “Fui abusato all’età di 13 anni dal mio insegnante di religione, don S. M“, ha affermato l’uomo le cui dichiarazioni sono state poi confermate da una perizia psichiatrica.

Purtroppo il reato è andato prescritto, quindi l’unico ambito giuridico dove è possibile agire per ottenere giustizia, è quello ecclesiastico. La vittima delle molestie contatta l’arcivescovato di Napoli, ma dal 2011 al 2013 non riesce ad avere ne risposta ne udienza, tranne che per un fugace incontro con il vescovo ausiliare Lucio Lemmo che non è servito a dare il via libera ad un procedimento. A quel punto arriva la segnalazione a Repubblica che promuove un’inchiesta che fa rimbalzare il caso sui media internazionali, addirittura ne ha parlato il Boston Globe impegnato nella vicenda Spotlight.

Nel 2014 arriva una prima denuncia a Papa Bergoglio che s’impegna ufficialmente esprimendo la volontà di volersi occupare del caso. Così è stato organizzato un incontro a novembre dello stesso anno, tra la vittima e il vicario giudiziale della diocesi, padre Luigi Ortagli. Tuttavia la situazione non si sblocca e così l’uomo va in preda ad un esaurimento nervoso: scrive a Don Ortagli minacciando il suicidio e successivamente perde anche il lavoro. A quel punto viene sottoposto ad una nuova visita psichiatrica che constata: “Non si è trattato di una perizia medico legale, ma di un interrogatorio in stile Gestapo. Le stesse domande venivano ripetute fino allo sfinimento con l’intenzione di dare il carico delle responsabilità delle violenze subite al ragazzo. Io stesso ho lavorato per il tribunale, ma ho sempre condotto le visite con il massimo rispetto per le presunte vittime“.

Come riportato da La Repubblica, un monsignore della curia romana ed esperto di diritto canonico, che ha preferito per motivi di privacy non rivelare il suo nome, ha affermato di conoscere le strategie che la diocesi utilizza per sabotare le denunce: “È raro che le curie si schierino sinceramente dalla parte delle vittime. La preoccupazione principale non è la giustizia, ma tutelare la Chiesa, in particolare dal punto di vista economico. La prassi di portare allo sfinimento una vittima non è nuova, fino a logorare la richiesta di giustizia. Inoltre non è raro che i periti nominati siano collusi con le curie. Sulle indagini il Papa di fatto non ha alcun potere, tutto viene gestito dai vescovi, senza alcuna garanzia di imparzialità. Nel caso in questione, la cosa strana è che il denunciante dopo sei anni non ha ancora ricevuto nessuna comunicazione, né una conclusione istruttoria, né un giudizio di archiviazione da parte dell’autorità ecclesiastica. Gli indizi di negligenza sembrano seri, ci sono tutti i presupposti per iniziare l’indagine“.

Se Papa Francesco dovesse ritenere le prove presentate verosimili, nominerà una commissione speciale che dovrà indagare sulla vicenda. Nell’eventualità di un successivo processo, essendo Sepe un cardinale, il giudizio finale spetterà al sommo Pontefice. Il vescovo di Napoli rischierebbe la rimozione dall’ufficio di arcivescovo, mentre la vittima potrà chiedere alla diocesi e alla Santa Sede un risarcimento per i danni materiali e psicologici subiti.

LA RISPOSTA DELLA CURIA IN UNA NOTA A CURA DEL CANCELLIERE ARCIVESCOVILE, PADRE LUIGI ORTAGLIO 

Nel 2010 la Curia riceveva alcune lettere della persona in questione e del suo psichiatra, dott. Alfonso Rossi, che denunciavano presunti abusi subiti da questa persona all’età di 13 anni da parte di don S.M. negli anni 1986-92. Nonostante il reverendo avesse sempre goduto della stima dei superiori e dei fedeli, svolgendo con dedizione il ministero sacerdotale in due parrocchie, l’arcivescovo incaricò immediatamente il vicario generale di condurre un’indagine per verificare la verosimiglianza delle accuse mosse. Il vicario incontrò e ascoltò la persona in questione, quindi il suo psichiatra, nonché infine lo stesso sacerdote, il quale fin da subito negò decisamente la veridicità di quanto affermato dal denunciante. Comunque si convenne insieme al parroco sull’opportunità di un periodo sabbatico di riposo e distacco dalla parrocchia presso una comunità religiosa fuori diocesi.

Nel 2014 il denunciante prima personalmente e poi tramite il suo legale, l’avvocato chiedeva di essere ancora una volta ascoltato dall’Autorità ecclesiastica e di ottenere dall’Arcidiocesi di Napoli un risarcimento per i danni provocati dai presunti abusi da lui denunciati. Nel frattempo, la vittima, sostenuta dalla Rete ‘L’Abusò “si è rivolto al Santo Padre. La Congregazione per la dottrina della fede, come avviene generalmente in questi casi, con lettera del 2 ottobre 2014 affidava all’Arcidiocesi di Napoli il compito di effettuare una investigatio previa a norma del can. 1717 del C.J,C’. Pertanto, nell’ambito di tale indagine sono stati di nuovo formalmente ascoltati la presunta vittima, il suo psichiatra, l’accusatore, il suo psicologo, vari testimoni, tra cui uno indicato dallo stesso accusatore ed un altro spontaneamente presentatosi dopo una nota trasmissione televisiva Rai che si è occupata del caso. Inoltre, nell’ambito di tale istruttoria, su indicazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stato chiesto al denunciante di sottoporsi a una perizia psichiatrica, affidata ad un neuropsichiatra specializzato in psicologia forense, vittimologia e criminologia, qualificato per la cosiddetta “ricostruzione della memoria testimoniale”. Purtroppo non è stato possibile espletare tale perizia per il rifiuto del periziando“.