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L’incredibile storia di Palazzo Ruffo di Bagnara a Largo del Mercatello

Tra il 1629 ed il 1631 Giovan Battista de Angelis, di professione Maestro d’Atti del Tribunale della Vicaria, e di fama grandissimo consigliere sui migliori escamotages per gabbare la giustizia, fece costruire in Piazza Dante (l’allora Largo della Conservatoria de’ Grani) un palazzo che fece scuola in tutto il Seicento napoletano: Palazzo Ruffo. Sfortunatamente per lui, morì in un incidente di cavallo, e non poté usufruire del suo gioiello. Ci fu chi lo fece al posto suo.

Il figlio Antonio ereditò il palazzo e l’attitudine del padre a dispensare consigli ai potenti. Antonio ne fece una vera e propria professione, entrando nelle grazie di molti viceré in successione. La sua carriera registrò un brusco stop quando, per tornaconto personale, convinse Don Rodrigo Ponce de Leòn ad alzare le tasse. Il popolo insorse (Rivolta di Masaniello del 1648) ed individuò in Antonio il principale obiettivo della propria ira.

Fu così che Palazzo Ruffo finì sotto l’assalto della folla inferocita, che alla fine impose la propria legge, invadendo le stanze del Palazzo, appropriandosi dei beni apparentemente più lussuosi, accatastando in strada talmente tanti mobili da creare cinque cataste di altezza smisurata, e facendo del Palazzo la propria base operativa.

La rivolta ovviamente era destinata a spegnersi entro breve, ma il Palazzo restò comunque orfano di proprietario. I figli del Consigliere Antonio de Angelis non se la sentirono di far fronte alle ingenti spese necessarie per far fronte ai danni subiti dal Palazzo, e preferirono venderlo a Don Fabrizio Ruffo, Duca di Bagnara, Capitano Generale dell’Armata navale di Malta.

Il Duca Ruffo era una personalità di spicco, non solo per i successi militari, ma anche per la quantità di ricchezze accumulate in anni di floridi bottini di guerra. Reinvestiva i beni di cui s’appropriava in attività commerciali scelte sempre con oculatezza, e abbondantemente redditizie. Parte delle sue ricchezze le destinava ai suoi improvvisi slanci di generosità.

Tre volte a settimana faceva distribuire dodici ducati ai poveri che circondavano Palazzo Bagnara (immaginiamo aumentati esponenzialmente dopo le prime offerte); 200 ducati per “sistemare” le fanciulle povere ancora nubili; sosteneva le spese degli studi di alcuni ragazzini che intendevano diventare sacerdoti.

Per il munifico Duca Ruffo i 22000 ducati necessari a sistemare il palazzo di Don Antonio de Angelis erano insomma bruscoletti, racimolati con uno solo dei suoi numerosissimi bottini di guerra. Il primo architetto a cui furono assegnati i lavori fu un certo Carlo Fontana, a cui è ascrivibile la facciata su basamento di piperno e due piani di stile ionico.

Il portale in granito, su cui troneggiano i tre leoni che sorreggono il balcone del piano nobile, è invece opera di Francesco Antonio Picchiatti, proseguita da Giovanni del Gaizo, il quale, avvalendosi della collaborazione di Corinto Ghetti, si occupò anche delle due scale a tenaglia che collegano l’ingresso alla cappella di famiglia.

Nel 1800 il principe Vincenzo Ruffo affidò a Vincenzo Salomone ulteriori lavori di integrazione ed ammodernamento di quello che ormai da generazioni era diventato “Palazzo Ruffo”. A questo noto architetto si deve il grande salone in stile pompeiano e l’idea di adornare la terrazza con numerose statue di pregevolissima fattura.

Se all’esterno spiccavano le statue realizzate da Carlo Finelli e Pietro Tenerani, all’interno il Palazzo non era da meno, in ambito pittorico. Ospitava infatti opere di Van Dick, Rembrandt, Ribera, Sacchi, Guercino, e altri, accumulati grazie alla passione per l’arte del Cardinale Tommaso Ruffo, e donati allo Stato Italiano dal nipote Fabrizio.

Palazzo Ruffo ospitò successivamente la Scuola purista del Marchese Basilio Puoti, strenuo sostenitore del toscano come lingua nazionale, una Scuola di Architettura e Disegno, e una Scuola di Ingegneria per Ponti e Strade, prima di essere venduto al Principe di Canneto, Giuseppe Gironda. Oggi Palazzo Ruffo è in mano a diversi privati, che ne detengono ognuno una sezione.