Era il 30 Marzo del 2013 a Roma, una serata come le altre in via Aquaroni, zona Tor Bella Monaca proprio a Nord della Casilina. Sembrava che tutto andasse normale nel quartiere, quando verso le 21.00 viene commesso un omicidio: Serafino Maurizio Cordaro è ucciso da tre colpi di pistola nel bar in cui lavorava. Il killer che indossava un casco integrale da motocicletta, dopo aver sparato a Cordaro è scappato via in scooter.
Il movente che ha provocato la morte di Cordaro, sarebbe da individuare nelle vicende riguardanti il traffico e lo spaccio di droga. Ad essere arrestati nel 2014 e in seguito condannati a maggio del 2016, sono in due: Stefano Crescenzi, a 23 anni di carcere con l’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio e Giuseppe Pandolfo, l’esecutore materiale dell’agguato che in appello si è beccato 10 anni di reclusione. La differenza tra i due? Crescenzi è morto in cella, mentre Pandolfo è divenuto collaboratore di giustizia.
Crescenzi, 37 anni, dal carcere di Livorno era stato trasferito e recluso presso la casa circondariale di Secondigliano, a causa delle sue precarie condizioni di salute. Queste ultime erano state provocate e aggravate dal rifiuto di alimentarsi da parte dello stesso detenuto. Gli avvocati ne hanno richiesto ufficialmente la scarcerazione, basandosi sui certificati medici rilasciati da diversi specialisti. Questi, dopo aver visitato Crescenzi, ne hanno dichiarato e confermato lo stato comatoso che lo avrebbe presto portato alla morte.
Il 37enne viene dunque trasferito prima all’ospedale Cardarelli e poi al Don Bosco: secondo i medici Crescenzi dovrebbe uscire dalla prigione ed essere portato in una struttura clinica idonea, dove gli siano somministrate le cure necessarie. “Subito, i sanitari del centro clinico di Napoli – Secondigliano si sono resi conto che non avrebbero potuto apprestare le cure al detenuto, le cui condizioni peggioravano“, queste le dichiarazioni del legale di Crescenzi, Dario Vannetiello.
Quest’ultimo il 19 ottobre del 2016 ha chiesto alla Corte di Assise di Roma di annullare la carcerazione preventiva a carico del suo assistito. La conclusione in primo grado del processo avrebbe impedito un inquinamento delle prove ed essendo in coma, il 37enne non sarebbe fuggito e non avrebbe potuto commettere alcun reato. Di conseguenza, le tre condizioni che motivano la custodia cautelare non sarebbero valide. Tuttavia la risposta della giustizia italiana non arriva, il tempo passa e le condizioni di salute di Crescenzi peggiorano.
Continua Vannetiello: “la mamma del detenuto ed i familiari tutti chiedevano solo di non farlo morire; poi, se Crescenzi aveva sbagliato, avrebbe pagato il suo conto con lo Stato. La detenzione non deve mai essere disumana, come le decisioni di chi rappresenta lo Stato; le decisioni urgenti non possono arrivare in ritardo. E poi, come poteva un moribondo in coma (da tre mesi circa e sino ad oggi in rianimazione, da tre mesi intubato, respirando solo grazie alla ventilazione assistita) con prognosi estremamente riservata, darsi alla fuga o commettere reati?“.
Così il 19 gennaio i legali di Crescenzi si rivolgono alla Corte d’assise e d’appello di Roma, II sezione penale. Non solo la scarcerazione viene negata, così come qualsiasi altra forma di detenzione, ad esempio ai domiciliari. Ma il Tribunale del riesame della capitale, presidente dott. Azzolini, relatore dott. Steidl, ha stabilito una nuova udienza dove si tenesse conto del parere di un medico di fiducia, nominato dallo stato italiano.
Purtroppo questa udienza non si terrà, è del tutto inutile. Stefano Crescenzi è morto, abbandonato dallo Stato e ucciso dalla macchina burocratica italiana. Adesso, oltre alla famiglia di Cordaro, a soffrire per il dolore causato da una cara perdita, c’è quella di Crescenzi. Quest’ultimo era colpevole? Allora avrebbe scontato la sua pena, senza dimenticare che era ancora in attesa del giudizio definitivo, considerato che il processo d’appello non era terminato.
Lo stato italiano si dimostra ancora incapace di prendersi cura di coloro che custodisce perché ritenuti colpevoli di un reato. In carcere non c’è redenzione, non c’è recupero sociale. La Costituzione e lo stato di diritto tra quelle mura non hanno giurisdizione. In prigione contano solo la vendetta e la morte. Ad essere veramente vittime di tutto ciò e ad uscire drammaticamente sconfitti da questa vicenda, sono in due: lo stato e la giustizia italiana.
L’INDAGINE DELLA PROCURA – La procura di Napoli ha aperto un fascicolo contro ignoti in merito alla morte di Crescenzi. Come riportato da Il Mattino, il prossimo 2 febbraio saranno conferiti gli incarichi per gli accertamenti a tre esperti che faranno per gli inquirenti le dovute verifiche del caso.