Tatuaggi per identificarsi e riconoscersi all’interno del clan. Frasi dedicate a boss detenuti o uccisi. Sono questi alcuni dei codici della camorra che da diversi anni si stanno diffondendo a macchia d’olio.
Dai ‘Bodo’ tatuato sulla palle in onere del boss detenuto Marco De Micco, che a Ponticelli è in guerra con i D’Amico, detti Frauella, al figlio 16enne del boss degli Scissionisti Raffaele Amato, passando per i Barbudos del Rione Sanità.
“La cosa interessante – spiega Anna Maria Zaccaria , docente presso la facoltà di Sociologia della Federico II, in una recente intervista rilasciata a Repubblica – mi sembra quella che potremmo definire come un’emulazione contaminante di modelli diversi, tutti però legati da un unico filo rosso: la violenza, appunto. Inoltre, molti dei simboli scelti da questi ragazzi rimandano ai nomi e alle figure dei capiclan”.
“Questa scelta – spiega la sociologa napoletana – fa pensare a un desiderio di emulazione, a una forma di identificazione e al progetto di intraprendere una carriera criminale. Ma si potrebbe anche leggere come la ricerca di un’identità altra, che questi giovani evidentemente non hanno, alla quale attribuiscono contenuti estetici, ma anche pratici, che rimandano all’uso della violenza”.