Terra dei fuochi, periferie di Napoli e criminalità sono alcuni degli argomenti di cui abbiamo discusso con Sandro Ruotolo. Uno dei più autorevoli giornalisti italiani, si occupa da sempre dei crimini di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Proprio per la sua attività di inchiesta sul traffico dei rifiuti tossici in Campania, ha ricevuto nel 2015 minacce di morte da parte del boss Michele Zagaria. Da allora vive sotto scorta, ma non ha mai smesso di denunciare quello che accade in Campania e nel resto del Paese.
Ruotolo lei è da sempre attivo nella denuncia sulla situazione della Terra dei Fuochi, cosa è stato fatto fino ad oggi e cosa c’è ancora da fare?
La gente continua a morire, si continuano a respirare questi fumi e queste terre sono sempre avvelenate, non è partita la bonifica di nulla. Io per caso mi sono ritrovato l’altro giorno a Teverola, perché dovevo partecipare ad un dibattito su Giancarlo Siani ed ho assistito all’incendio della fabbrica della puzza, come la chiamano i cittadini. Un capannone aveva preso fuoco. Sono centinaia le persone che non ce la fanno più. Di queste persone non se ne accorge nessuno. Ogni tanto il corpo forestale scopre discariche nascoste, ma poi non partono le bonifiche. Sappiamo che per la Terra dei Fuochi ci sono più o meno 30 milioni di tonnellate di rifiuti industriali, sappiamo dei roghi che vengono accesi continuamente. Ma se non interveniamo nel cosiddetto sommerso napoletano, l’anno prossimo avremo di nuovo i roghi di tutte quelle piccole aziende.
Qual è la responsabilità dello Stato in questa situazione?
Tutta. Perché c’è da fare una lotta contro l’evasione fiscale, il punto principale è questo. È vero che c’è la parte terminale del traffico illecito di rifiuti tossici legato alla camorra, però, conoscendo la situazione del nostro Mezzogiorno, dove industrie non ce ne sono, quelle che hanno depositato i rifiuti della nostra terra, sono tutte industrie del centro-nord. L’hanno fatto per risparmiare soldi. Dunque, c’è un problema di lotta all’evasione fiscale, di bonifiche, di messa in sicurezza del territorio, soprattutto di prevenzione sanitaria e quindi di un intervento per la tutela e difesa della salute del cittadino.
Lei vive sotto scorta dal 2015, per una minaccia ricevuta da Michele Zagaria (“O vogli’ scquartat’ viv”). Qual è la sensazione che ha provato quando l’ha saputo?
Più che minaccia la definirei sentenza. Non me lo aspettavo, io ho fatto quarant’anni di cronaca, nel 2010 ho avuto anche a Roma un sistema di protezione per una lettera di minaccia. Essendomi occupato sempre di queste vicenda di camorra, di mafia e di ‘ndrangheta, è la prima volta che lo Stato ha ritenuto di dovermi proteggere.
Com’è vivere sotto scorta?
Devi pianificare tutto, non puoi improvvisare nulla. A livello privato ci sono moltissime cose che mi limitano. Ma l’importante è che io continui a parlare, a scrivere e ad andare in televisione. E’ qui che si vede chi vince. Zagaria è al 41bis (carcere duro) e io sono, grazie anche alla protezione, un uomo libero e quindi questo vale molto. Questa possibilità che ho, batte tutto.
Sua cugina è una vittima innocente della camorra. Nel 2016 ci sono ancora troppe persone lontane da questo sistema che muoiono per mano della camorra, perché?
E’ un fenomeno che abbiamo da 200 anni e che non abbiamo debellato per responsabilità chiare da parte dello Stato. C’è da porsi un interrogativo, perché è chiaro che questo Mezzogiorno non è nelle politiche del governo. C’è un’emergenza sociale, ciò non toglie che lo Stato deve fare quello che deve fare, la politica di sicurezza dipende dal ministero degli Interni, abbiamo gente che non finisce in galera, che esce e continua a fare le stesse cose. C’è un problema di fondo anche perché è chiaro che c’è una questione politica. Le criminalità mafiose, della ‘ndrangheta fanno parte del meccanismo di potere. Non è tanto un problema di Napoli, ma della provincia, dove hai comuni sciolti per mafia e qui si vede il rapporto con la politica che è molto evidente. Io dico sempre se fosse solo una questione di armi, lo stato ne ha di più.
Un altro fenomeno a cui stiamo assistendo a Napoli e provincia è il fenomeno dei baby camorristi, ragazzini già criminali. Cosa si può fare per questi giovani, c’è ancora una speranza o sono “persi”?
C’è una componente famigliare che è chiara. Se il boss di 30 anni finisce in galera, il figlio o il nipote di 15 anni fa parte del meccanismo criminale famigliare e ne prende parte attiva. Poi c’è un problema delle periferie e di questi ceti sottoproletari, ragazzi a rischio. Qui c’è un problema di educazione, di cultura, di tempi lunghi a scuola. Quando un ragazzino non ha mai avuto un bacio, avverti un disagio. Il muretto della strada è la scuola, quindi se nella strada si compiono reati sono questi i meccanismi che si apprendono.
Marco De Marco in un suo ultimo articolo ha definito Luigi De Magistris “un sindaco in balia di se stesso”, lei che opinione ha a riguardo?
Io penso che l’esperienza di De Magistris sia estremamente positiva. Durante la campagna elettorale ho sostenuto mia nipote (Alessandra Clemente assessore alle Politiche Giovanili ndr). Credo fortemente quest’esperienza, che è stata capace di mettere in moto una democrazia di base, lui la chiama del popolo, che ha una ricchezza giovanile, di associazioni e movimenti. La vedo come un’esperienza positiva.
C’è stato un lavoro di De Magistris per le periferie di Napoli?
Nelle grandi città esistono le periferie. E’ indubbio che le periferie siano trascurate, però, qui c’è il discorso del Patto di Stabilità, con cui gli enti locali non hanno soldi, non fanno cassa, le tasse finiscono a Roma. Ci sono realtà che lavorano sul territorio. Pensiamo a Scampia, dove ci sono esperienze estremamente positive, non siamo all’anno zero. Bisogna puntare sull’enorme capitale che rappresentano i giovani, è su di loro che si deve investire.
Lei è molto tifoso del Napoli, qual è il suo commento sulla diatriba per lo stadio San Paolo tra Luigi De Magistris e Aurelio De Laurentiis?
Lo stadio è un bene comunale, non può essere svenduto o dato gratis. Questo è il punto principale. Se si vuole usufruire dello stadio, è una questione che va risolta. Ci vuole un impegno maggiore da parte del Comune ma anche del Calcio Napoli, che non può de-responsabilizzarsi.