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Capodimonte, morto mentre faceva jogging: chieste tre condanne

Antonio Barbatelli è morto mentre faceva jogging nel bosco di Capodimonte. Era il 26 agosto 2011 quando il ragazzo precipitò in un burrone all’intero di un’area che doveva essere chiusa al pubblico. Oggi il pm Fabio De Cristofaro ha chiesto tre condanne per i fatti accaduti 5 anni fa. Una è per l’allora sovraintendente Stefano Gizzi, le altre per i responsabili del Bosco di Capodimonte dell’epoca Guido Gullo e Renzo Biagioni. Antonio è morto mentre faceva jogging, dissanguato, caduto in un fossato che non doveva essere aperto al pubblico.

Come si legge sul Corriere del Mezzogiorno, la sentenza è prevista per il prossimo 19 aprile. Sono stati chiesti sei mesi di carcere per Gizzi e Biagioni, e quattro mesi per Gullo. La vicenda avvenuta 5 anni fa ha dell’incredibile. I genitori di Antonio, non vedendolo tornare a casa, corsero a Capodimonte perché sapevano che loro figlio era lì a correre. Era tardi, il bosco era chiuso e i carabinieri invitarono i familiari ad aspettare 24 ore: probabilmente il ragazzo si era allontanato volontariamente, dissero. I genitori di Antonio riuscirono, dopo pressanti richieste, ad entrare nel bosco. A quel punto però era troppo scuro e le ricerche non portarono a niente. Il corpo del giovane fu trovato solo il giorno dopo, nel burrone di una zona del parco che doveva essere chiusa ai visitatori.

Antonio Barbatelli, morto mentre faceva jogging a Capodimonte: il pm chiede tre condanne

La madre di Antonio Barbatelli ha aperto anche un blog che si chiama “Fatti i fatti tuoi“. Si legge in un post pubblicato nel giugno 2015: “La zona dove è stato ritrovato il corpo di Antonio era già stata interdetta in precedenza dai Beni Culturali, perché considerata zona a rischio, solo che non era chiusa al pubblico. C’era solo un cartello che segnalava la pericolosità di quel tratto. Le recinzioni, per impedire l’accesso in quel punto, sono state messe dopo la morte di mio figlio. Antonio conosceva bene i sentieri più battuti del Bosco, ma, forse, correndo, quel giorno ha deciso di fare un percorso diverso, senza accorgersi del cartello. Il sentiero era ricoperto da un tappeto di edera che non permetteva di vedere il vuoto del dirupo, proprio là sotto, e, magari passandoci sopra, mio figlio è caduto sotto il suo stesso peso. Ci domandiamo anche se era solo o magari qualcuno può averlo aggredito o spinto. Forse hanno provato a rapinarlo e lui ha tentato di difendersi e per questo è caduto. In effetti, quando è stato ritrovato, non aveva più né i soldi, né la collana che aveva sempre al collo. Ma queste sono solo le congetture e le supposizioni di chi non sa darsi pace: purtroppo non saprò mai come sono andate realmente le cose quel giorno“.

Il 19 aprile ci sarà dunque le sentenze dei giudici su quest’assurda vicenda. La famiglia di Antonio chiede solo giustizia per una morte che poteva assolutamente essere evitata.