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L’oscuro passato di Piazza Plebiscito

Piazza Plebiscito ha vissuto sulla propria pelle molte delle vicende più significative di Napoli, pur essendo, rispetto al nucleo della città antica, praticamente una neonata. E dire che quel gigantesco spazio rimase vuoto molto a lungo, e anche quando nel 1543 Don Pedro de Toledo decise di erigere in zona un palazzo riservato ai viceré, nessuno in quello spazio vide del potenziale. Quando invece toccò all’architetto Domenico Fontana occuparsi del palazzo reale, costruito successivamente a quello vicereale, la Piazza che tutti conosciamo, cominciò a prender forma e vita.

Piazza del Plebiscito

Ai tempi si chiamava “Largo del Palazzo”, proprio perchè fu ideata per dare lustro e respiro al palazzo reale. Successivamente acquisì la denominazione di Piazza del Plebiscito per celebrare il plebiscito con cui venne accolta nel 1860 l’Unità d’Italia. Subì persino l’onta di essere trasformata in un parcheggio, idea che sembrò geniale solo a chi decise di realizzarla. Fortunatamente, una trentina d’anni più tardi, nel 1994, la piazza fu resa zona pedonale.

Di scempiaggini, però, Piazza Plebiscito era già esperta da tempo. Il 1600 vede la nascita di un divertimento nobiliare destinato a durare a lungo, e a mietere centinaia di vittime, se ci vogliamo limitare a quelle umane. Nel 1616 tale Vicerè Duce di Ossuna decide che per legge nel l’ultimo giorno del Carnevale tutti avrebbero dovuto vestirsi a maschera.

Fin qui nulla di male, se non fosse che lasciò uscire dal palazzo ben quattro carri che all’interno trasportavano ogni gioia per il palato: vino, carne, formaggi, prosciutti, procedevano in un corteo che alla folla affamata doveva sembrare surreale, specie se consideriamo che questa processione culinaria era guidata da uomini in costume.

Non trascorsero molti minuti dall’iniziale sorpresa, che la folla si mise immediatamente all’inseguimento dei carri, ed una volta raggiunti cominciò una vera e propria guerra per chi si sarebbe accaparrato il bene più succulento, o la pietanza più abbondante. La fame prolungata portò questa guerra tra poveri alle estreme conseguenze, con uccisioni vere e proprie,

Il giochino sembrò particolarmente spassoso al Duca e a tutta la nobilita, che volle riprodurlo su vasta scala. Quale cornice migliore di Piazza del Plebiscito? Essa offriva infatti due indubitabili vantaggi. Il primo consisteva nel grande spazio a disposizione, all’interno del quale avrebbe potuto concentrarsi una grandissima quantità di persone. Il secondo: la dislocazione dei palazzi consentiva ai nobili una visuale sullo spettacolo comoda e privilegiata.

Questo spettacolo consisteva in una estremizzazione scenografica dell’idea del Duca di Ossuna, per cui non si badava a spese. Piazza del Plebiscito diventava lo scenario per erigere un enorme Albero della Cuccagna, consistente in un complesso di torri alte fino a 20 metri, sulle quali venivano assicurati oggetti preziosi e beni di consumo.

Non parliamo di una collanina e di un panino. Parliamo di gioielli e diamanti che avrebbero potuto letteralmente rivoluzionare l’esistenza di alcuni tra i migliaia di poveri senzatetto che affollavano le strade di Napoli, ed in quell’occasione, Piazza Plebiscito. Parliamo di maiali vivi inchiodati al legno delle strutture provvisorie, che grugnivano di dolore e lasciavano colare sangue caldo e pulsante. Maiali che avrebbero potuto sfamare una famiglia per mesi.

Di fronte a prospettive così allettanti, l’umanità diventava un lusso che non ci si poteva permettere. Da quel momento in poi partiva lo spettacolo. La corsa ad accaparrarsi cibo e beni preziosi consisteva in un calpestarsi reciproco, che sfociava in atti di violenza estrema come l’omicidio. Le forze dell’ordine predisposte in piazza servivano a fare in modo che la situazione non divenisse pericolosa per i nobili stessi. Ma finché ad ammazzarsi era il popolo, nessun gendarme aveva l’autorizzazione ad intervenire.

Urla, strepiti, ferite, sangue, confusione, diventavano anche il teatro ideale per rivalse private d’ogni tipo. Fioccavano i coltelli, infatti, nella ressa. Lo stesso marchese De Sade, nei suoi scritti talmente compiaciuto dell’orrido da dare esso stesso il nome al “sadismo”, si disse inorridito da quanto avveniva in “Largo del Palazzo”, a Napoli. Lo scempio terminò circa 200 anni fa, quando Ferdinando I di Borbone scrisse la parola fine su quest’orrore. La Cuccagna era di fatto omicidio legalizzato, e Piazza Plebiscito la testimone più silenziosa.