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La lista dei vini bianchi campani, il fiore all’occhiello della nostra Regione

Il segreto dei vini campani? Non ne esiste solo uno. Se ne possono contare, infatti, almeno due: il freddo e il Vesuvio. Ecco spiegato il motivo che si nasconde la ricchezza campana dei vitigni autoctoni. Una ricchezza che fa superare alla nostra Regione, in fatto di varietà, sia la Francia che i Paesi del Nuovo Mondo messi insieme. Un vero e proprio primato di cui andare fieri! In pochi però conoscono la realtà vinicola della Campania ed è un vero peccato vista la pensate eredità che si trascina dietro.

Le continue eruzioni del Vesuvio, col tempo, hanno permesso di sviluppare una viticoltura di qualità superiore per non parlare poi del freddo con le sue tipiche escursioni termiche caratteristico di alcune zone della Campania come, ad esempio, l’Irpinia, il Sannio, e l’Alto casertano. E’ proprio in questa zona, guarda caso, che si concentra l’80 % della produzione vinicola campana anche se il primato vero e proprio spetta, di diritto, a Benevento. Complessivamente la Regione Campania è “bianchista”.

VINI BIANCHI

Fiano di Avellino

Può essere sicuramente considerato uno dei migliori vini bianchi italiani. Non sorprende quindi che fosse già apprezzato a partire dal Medioevo.  Nel XIII secolo lo beveva Federico II di Svevia e anche Carlo d’Angiò ne apprezzava, a quanto pare, le doti organolettiche tanto da far impiantare nella propria vigna ben 16.000 viti di Fiano.

Fiano del Sannio

Rintracciare la radice storica del Fiano in Campania è impresa, a dir poco, ardua. Ci viene tuttavia in soccorso l’etimologia del termine “Fiano”  che sembrerebbe derivare dalle antiche uve “apiane” o, tutt’al più, dalla regione greca “Apia” o “Peloponneso”.

Fiano del Cilento

Nell’antichità il Cilento ospitava il suo clone: la Santa Sofia. Il fiano, invece, ha fatto la sua prima apparizione sul territorio negli anni Novanta. Il clima più caldo gli ha fatto acquistare qualità organolettiche differenti (note fruttate, tendenzialmente dolci e non minerali ) rispetto a quello irpino.

Greco di Tufo

Questo “rosso” travestito da bianco ha origini antichissime. Molto probabilmente fu innestato nel I secolo a.C., in Irpinia, sebbene la sua provenienza geografica sia da far risalire alla regione greca della Tessaglia. In un affresco di Pompei è stata trovata la seguente dicitura su questo vino che potremo definire, a tutti gli effetti, operaio: “Sei veramente gelida, Bice, se ieri sera nemmeno il vino Greco è riuscito a scaldarti”.

Greco del Sannio

E’ completamente differente dal suo omologo irpino e, in ordine di importanza, viene dopo la Falanghina e il Fiano. Le sue qualità organolettiche lo rendono unico nel suo genere: al palato si distingue, infatti, soprattutto per le sue note fruttate meno per la vena acida che, sebbene presente, risulta essere poco esuberante.

Falanghina del Sannio

L’origine etimologica del termine sarebbe da far derivare dalle “falange” i pali che, sin dall’antichità, venivano usati per sostenerne le viti. Le testimonianze scritte collocano la sua presenza nel Sannio solo a partire da metà Ottocento, gli esperti però sono convinti di poterlo collocare temporalmente sul territorio intorno al I secolo a.C. Negli anni Settenta era la base per la distillazione del cognac in Italia.

Falanghina dei Campi Flegrei

E’ il vino bianco di Napoli per eccellenza. Viene coltivato all’interno dell’area urbana partenopea. Nello specifico sulla collina dei Camaldoli e sugli Astroni fino a toccare l’area di Pozzuoli. Molto probabilmente fu importato a Cuma dai coloni greci e qui è rimasto fino ai giorni nostri.

Coda di Volpe

Chiamato anche “caprettone”, in passato veniva adoperato come uva da taglio soprattutto per il Fiano e il Greco. In questo modo veniva risolto uno dei peggiori difetti dei vitigni autoctoni campani: l’acidità dovuta al terreno vulcanico. In Campania è abbastanza apprezzato, fuori dalla Regione viene considerato ancora un vitigno antico e, soprattutto, misterioso.

Asprinio

Il grande bianco casertano è ormai in via di estinzione. Non è facile risalire con certezza alle sue origini storiche. Alcune fonti lo legherebbero temporalmente agli Angioini del Regno di Napoli del XIII secolo. Sarebbe stato lo stesso Roberto d’Angiò a favorirne la diffusione quando chiese al cantiniere della Casa Reale, Louis Pierrefeu, di piantare un vigneto per produrre uno spumante. L’uomo scelse l’Asprinio.

Pallagrello bianco

Si tratta di un vitigno che fu molto caro ai Borboni tanto da spingerli a inserirlo nella “Vigna del Ventaglio” dove erano sistemate le qualità più pregiate. Col tempo ha rischiato di essere dimenticato perchè confuso spesso con la “Coda di Volpe”. La sua coltivazione è stata ripresa solo alla fine degli anni Novanta.

Biancolella d’Ischia

Si tratta di un vitigno molto antico, molto probabilmente originario della Corsica, dove è ancora oggi coltivato come Petite Blanche. Viene citato per al prima volta verso la fine dell’Ottocento dal Di Rovasenda.

Forastera d’Ischia

Nonostante il nome indichi altro, questo vino bianco era presente sull’Isola Verde a partire dall’Ottocento. Tradizione vuole fosse consumato sempre miscelato con il Biancolella. E’ da poco che è stato possibile assaporarne le note fresche, sapide ed agrumate.

Lacryma Christi bianco

L’evocativo nome sembrerebbe essere legato ad antiche leggende. La più diffusa è quella secondo la quale Lucifero si portò all’Inferno un pezzo di Paradiso. Quando Gesù vi riconobbe il Golfo di Napoli, pianse e dalle sue lacrime nacquero i vigneti del Lacryma Christi.

Catalesca

Siamo ancora sul Vesuvio e questa volta parliamo di un’uva trapiantata a Napoli ad opera degli spagnoli. All’inizio veniva consumata esclusivamente come uva da tavola. Solo quando alcune aziende ricevettero l’autorizzazione a trasformarla in vino che fu possibile assaggiare questo vino bianco agrumato.

Falerno Bianco

Innumerevoli poeti e scrittori latini hanno decantato ed esaltato le sue qualità organolettiche di questo vino bianco. Silvio Italico è convinto dell’origine divina del Falerno. Pare, infatti, si trattasse di un dono del dio Bacco che volle premiare con le sue viti lussureggianti l’ospitalità e la generosità di Farlerno, un vecchio contadino.