Intervista a Sylvain Bellenger. Il Covid e la cultura, l'arte a Napoli. Il Direttore del Museo di Capodimonte l'ha spiegato a VocediNapoli.it
“Il successo di una visione non va misurata solo dai numeri, ma soprattutto dai cambiamenti sociali che riesce a produrre“, tra le tante cose che ci ha detto il Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sylavain Bellenger, questa è stata quella che mi ha colpito di più. La parola “visione” ha suscitato il mio entusiasmo. Un termine che ha una forte accezione pratica, quella di riuscire a pre-vedere gli effetti di una strategia ben precisa all’interno della società.
Un processo che è mancato e manca tutt’oggi a molti degli amministratori pubblici e politici. Invece Bellenger l’ha interiorizzato e messo in atto per la gestione del Museo e Real Bosco di Capodimonte. Un lavoro che ha dato i suoi frutti sul medio e lungo periodo, in un mondo dove pare sia necessario ottenere tutto e subito. Maggiore organizzazione e competenza, gestione anche del Real bosco (un unicum in Europa – grazie alla riforma Franceschini – come spiegherà lo stesso Direttore nell’intervista che segue), molta attenzione al marketing e alla comunicazione, un rapporto più stretto con la città e il quartiere di Capodimonte, tanti progetti per il futuro (per raccontare la cultura a Napoli abbracciando innovazione e nuove tecnologie), dove i protagonisti saranno i giovani e le arti.
Il Museo di Capodimonte è un punto fermo della cultura italiana ed europea. Nonostante la ‘mazzata’ del lockdown, la pinacoteca ha riaperto i battenti offrendo ai cittadini delle esposizioni meravigliose: “Napoli Napoli, di lava, porcellana e musica“, “Gemito” e “Luca Giordano“. Mostre con opere splendide arricchite da allestimenti davvero straordinari. Il visitatore varcando l’ingresso del Museo entra in un mondo fantastico. Un vero e proprio viaggio artistico e culturale in una Napoli ‘Città Regina’ e ben contestualizzata nel periodo storico di riferimento. Abbiamo parlato di tutto questo con il Direttore Bellenger.
Intervista a Sylvain Bellenger
Ho visto le mostre attualmente presenti al Museo: ‘Napoli Napoli, di lava, porcellana e musica’, ‘Gemito’ e ‘Luca Giordano’. Al di là delle meraviglie esposte sono rimasto molto colpito (positivamente) dagli allestimenti. Quali sono stati i processi creativi e organizzativi che hanno motivato tale scelta?
Una mostra è sempre la messa in scena di un racconto: la narrazione della Napoli del ‘700, capitale della musica e di un nuovo regno in Napoli Napoli, gli artisti Gemito e Giordano attraverso le loro opere e il confronto con i loro maestri e contemporanei. Gli allestimenti e l’illuminazione giocano un ruolo fondamentale in questa narrazione, permettono al visitatore di apprezzare le opere d’arte e di vivere in maniera piacevole e meno didascalica l’esperienza delle visita. Per Napoli Napoli abbiamo lavorato con lo scenografo francese Hubert le Gall che ha saputo narrare in maniera geniale la Napoli del ‘700: la musica è il vero filo conduttore della mostra, mentre le arti decorative e gli splendidi costumi del Teatro di San Carlo fanno quasi da contorno. Le mostre su Gemito e Giordano sono state allestite, invece, dallo studio Cor Arquitectos di Roberto Cremascoli con Flavia Chiavaroli, stessi professionisti con cui avevamo allestito la mostra Caravaggio Napoli. Nella mostra Gemito, dalla scultura al disegno abbiamo voluto ricreare lo studio d’artista con le pareti in betulla e il panorama sulla città, mentre per la mostra Luca Giordano, dalla Natura alla Pittura abbiamo riprodotto con la carta da parati i salotti napoletani del ‘600 che Giordano frequentava.
Ho notato un filo conduttore presente alle mostre: raccontare Napoli sotto più aspetti, partendo dall’opera d’arte, e collegandola al contesto storico dell’epoca. L’arte è dunque una ‘locomotiva’ che trasporta il visitatore in un viaggio, non solo culturale, ma anche storico, urbanistico, politico e sociale?
L’arte offre senz’altro una visione della vita e una lettura della società. Nelle opere degli artisti troviamo il racconto del mondo che li circondava e che hanno vissuto: gli scugnizzi di Gemito, la peste del 1656 nella grande tela di Luca Giordano e tutta la magnificenza della Napoli del ‘700 nelle porcellane del regno.
C’è un uso sempre maggiore delle tecnologie all’interno degli allestimenti. Soprattutto l’utilizzo di suoni, luci e filmati particolari. Quanto e come la tecnologia può valorizzare e rendere ancora più fruibile un’opera d’arte?
La mostra Napoli Napoli termina con la video-installazione di Stefano Gargiulo (Kaos produzioni) nella sala della Culla in cui si alternano, in maniera spettacolare, le immagini d’archivio del Teatro di San Carlo, quelle della Napoli religiosa legata al culto di San Gennaro, l’eruzione del Vesuvio e quella dei vicoli, ancora oggi sotto i nostri occhi, con le immagini di Capodimonte. Un lavoro straordinario, un vero ‘atto di amore’ per questa città. Anche la mostra su Luca Giordano termina con una videoinstallazione di Stefano Gargiulo: stavolta è stato ricreato l’ambiente di una cappella e ‘accendendo’ una candela al centro della sala il visitatore si trova immerso negli affreschi dei Girolamini, della Chiesa di Santa Brigida, di San Martino o San Gregorio Armeno del grande pittore barocco del Seicento. Un invito a proseguire il viaggio alla scoperta delle tele di Giordano nelle principali chiese di Napoli.
Quanto ha influito l’emergenza causata dal Covid19 sul settore dell’arte e quanto è necessario, nonostante il momento, che mostre e musei restino aperti?
Il Covid si è abbattuto come uno tzunami su tutta la vita sociale ed economica e, ovviamente, anche i musei ne hanno risentito. Abbiamo inaugurato in autunno le mostre Gemito e Giordano programmate per la primavera 2020. Ora dobbiamo evitare assolutamente un nuovo lockdown. I musei sono luoghi in cui le regole anti-contagio Covid sono osservate rigorosamente, la fruizione è garantita nella massima sicurezza e il visitatore può ritrovare quasi un rapporto intimo con le opere, apprezzarla nella massima tranquillità.
Ho valutato positivamente la ‘Riforma-Franceschini’ che ha dato la possibilità a professionisti stranieri di dirigere i poli museali in Italia. Credo abbia ‘internazionalizzato’ ancora di più il nostro patrimonio spesso poco esaltato. Lei che giudizio dà alla Sua esperienza da Direttore del Museo di Capodimonte?
Rispondo premettendo che mi sento ormai un francese-napoletano ma, credo che il dibattito tra manager italiani o stranieri nei beni culturali sia ampiamente superato. La vera grande chance offerta dalla riforma Franceschini a Capodimonte è stata la riunificazione sotto una sola gestione amministrativa del Museo e del Real Bosco, prima affidate a due distinte Sovrintendenze. Questo mi ha permesso di avere una visione unica e unitaria sull’intero sito e di lavorare, con tutto il mio staff, alla costruzione di un vero e proprio campus multidiscilplinare in cui far convivere l’arte, la musica, la fotografia, la ricerca, la digitalizzazione, la botanica, lo sport e il tempo libero. Un museo che vanta una collezione di così alto valore e un giardino storico altrettanto importante è davvero un unicum in Europa, un tesoro ancora ben nascosto e poco conosciuto. Abbiamo davanti a noi quattro missioni da portare avanti: la tutela del patrimonio artistico, la sua piena digitalizzazione, il valore ecologico di questo prezioso bosco e il suo grande valore sociale per la città di Napoli.
Ha notato, rispetto alle Sue iniziative, una risposta positiva da parte dei cittadini e un flusso maggiore di turisti?
I visitatori hanno apprezzato questa politica culturale ma credo che il successo di una visione non vada misurata solo dai numeri, ma soprattutto dai cambiamenti sociali che riesce a produrre. Ho notato con immenso piacere che i napoletani sono tornati a frequentare il loro bosco e il loro museo e questo non può che gratificarmi.
Al di là delle mostre, al Museo di Capodimonte ho percepito una grande efficienza organizzativa e del personale. Cosa si può fare ancora per migliorare questi aspetti?
Abbiamo lavorato molto sulla comunicazione interna e l’organizzazione del lavoro, riunendo gli uffici nel Palazzotto borbonico e organizzando le risorse umane in Dipartimenti, con un precisi carichi di lavoro e responsabilità. E’ fondamentale che la ‘mano destra’ sappia cosa fa la ‘mano sinistra’ e che ognuno si senta parte di una squadra e su questo continueremo a lavorare.
Se fosse seduto al tavolo con il Sindaco, il Governatore e il Ministro, quali provvedimenti consiglierebbe affinché il nostro patrimonio artistico sia maggiormente valorizzato?
I concetti di ‘tutela’ e ‘valorizzazione’ credo siano ormai superati. Sono convinto che sia necessario ‘prendersi cura’ in senso complessivo del nostro patrimonio artistico e contribuire così alla sua piena fruizione e valorizzazione. Ma questo non si può fare – o comunque diventa molto complicato – con buchi in organico spaventosi. Per questo il mio consiglio è quello di investire sui giovani, spesso sacrificati nel settore dei beni culturali e di aprirsi anche all’aiuto dei privati, attraverso vari strumenti oggi disponibili come l’art bonus o le sponsorizzazioni.
Oggi, un Direttore, è anche un manager alle prese con bilanci, risorse umane, marketing, pubblicità, merchandising e comunicazione. In Italia, tempo fa, c’è stato un dibattito: con l’arte e la cultura ‘non si mangia’. Lei crede che arte e cultura possono invece creare ricchezza materiale e in che modo?
Il patrimonio artistico, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, è ancora un tesoro ben nascosto. Le collezioni del Museo di Capodimonte, ad esempio, rappresentano tutte le scuole pittoriche italiane e quasi tutti gli artisti sono rappresentati al massimo livello. Abbiamo un nutrito gruppo di opere di fiamminghi tra cui le due famose tele di Bruegel il Vecchio La parabola dei ciechi e il Misantropo eppure in pochi sanno che si trovano qui a Capodimonte. L’indotto che si crea intorno alla fruzione dell’arte è enorme e può generare senz’altro ricchezza economica. La maggiore fruizione del Museo e del Real Bosco di Capodimonte ha inciso fortemente sulle attività commerciali del quartiere e, quando siamo stati costretti a chiudere per il lockdown in primavera, tutti ne hanno risentito.
Vive e lavora a Napoli da un pò. Cosa pensa di questa città ricca di contraddizioni ma centro artistico e culturale del Paese (e d’Europa)?
Napoli è ancora oggi una vera capitale europea, una città capace di conservare una forte identità storica e allo stesso tempo di guardare al futuro. Non ha mai perso il suo carattere di città portuale in grado di comunicare con il mondo, crocevia di culture diverse e capitale dell’accoglienza dei popoli. Qui nessuno si sente straniero, men che mai gli artisti che da essa hanno tratto grande fonte di ispirazione.
Cosa c’è nel futuro del Museo di Capodimonte?
Stiamo lavorando al Grande Progetto che trasformerà il museo e il bosco in campus culturale multidisciplinare in cui potranno convivere tutte le arti: pittura, scultura, fotografia, botanica, cinema, musica, video. Tutto questo passa attraverso un maestoso progetto di digitalizzazione di tutto il nostro patrimonio artistico per una fruizione il più possibile democratica.

