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Torre Annunziata, la docente trans racconta la sua esperienza: “Ero Salvatore, ora sono Simona”

Si chiama Simona ma è nata come Salvatore. È un’insegnante laureata in lettere classiche e che insegna italiano e storia presso l’Istituto Polispecialistico “Marconi Galilei” di Torre Annunziata (località vesuviana in provincia di Napoli). Simona Fatima Cira Aiello ha raccontato la sua storia, la sua esperienza. Qui riportiamo l’intervista integrale rilasciata al Corriere del Mezzogiorno che l’ha pubblicata ieri.

L’intervista

Simona che cosa ha in comune con il personaggio dello spettacolo?
«Le storie di vita sono totalmente diverse perché lui era sposato mentre io non lo sono mai stata, però c’è una certa familiarità nel suo modo di porsi con la realtà circostante. Essere donne non significa mettersi tacchi a spillo o la gonna: puoi uscire anche coi pantaloni e sentirti dire “buongiorno signora”. Sta tutto in come ti poni».

Quindi niente tacchi a spillo all’improvviso e abiti sgargianti?
«No. Già da maschio mi vestivo in modo sobrio, il massimo erano camicioni e pantaloni un po’ più attillati. Da donna mi sono presentata vestita senza eccessi. E gradualmente, per fare abituare i miei allievi all’idea che il loro professore fosse diventata una prof».

Cosa accadeva in classe?
«Loro ovviamente percepivano che la mia natura non era quella maschile ma mi hanno sempre rispettato. Certo i commenti stupidi non mancano mai, però sono stati davvero pochi. Nella fase della transizione, ho iniziato con piccole cose: un giorno indossavo gli orecchini, un altro mettevo lo smalto. Si sono subito abituati e anche senza domande dirette, hanno compreso la mia situazione».

Quindi i suoi allievi l’hanno aiutata?
«Mi hanno supportata, fatta sentire parte di loro. Non ho mai subito atti di violenza verbale per la mia identità. E quando mi sono presentata vestita da donna mi hanno mandato messaggi WhatsApp per incoraggiarmi. La stessa cosa è successa con la dirigente scolastica».

L’hanno accolta tutti bene?
«Tra i colleghi e i bidelli sì, mi hanno dimostrato grande affetto. Solo in pochi si sono chiusi nell’ufficio e li ho sentiti schiamazzare. Ma può capitare. Per il resto: mi ritengo fortunata, soprattutto dello scambio che ho con i miei allievi. Mi hanno accolta come io accolgo le loro storie difficili».

Ma come ha capito di non essere Salvatore?
«Avevo 12 anni e mi dicevo: dentro sono donna e voglio diventarlo. Giocavo coi ragazzi ma desideravo le Barbie. Purtroppo però erano gli anni ‘80, non era concepibile nemmeno un figlio gay, figuriamoci transessuale. Mio padre mi costrinse persino ad andare all’istituto tecnico mentre io volevo fare il magistrale».

E come interagiva con i suoi coetanei?
«Alcune ragazzine un po’ più grandi mi usavano per i loro giochi intimi. Loro mi percepivano come “maschio” ovviamente, mentre io mi sentivo sprofondare dentro. È stato l’inizio di una consapevolezza, non riconoscevo il mio corpo dal punto di vista fisico e sessuale».

I primi amori?
«Sono stati all’interno dei gruppi parrocchiali che frequentavo da adolescente. Ma non erano corrisposti, perché io ero un ragazzo che si innamorava di altri ragazzi, di qualche anno più grandi ed etero, solo che non ero in grado di distinguerlo. Però feci amicizia con due ragazze all’epoca che sono state le prime ad accogliermi per come sono realmente».

Che cos’è per lei la transizione?
«Un atto di responsabilità verso se stessi. Ci sono arrivata tardi, a 48 anni, e non è stata una scelta, ma soltanto un riadeguamento del mio corpo a ciò che conteneva l’anima».