Su qualsiasi tema di grande importanza il 'Conte-Bis' era del tutto fermo. Tra Recovery e riforme l'Italia non può essere dormiente
Matteo Renzi è l’uomo più ‘odiato’ d’Italia. Dal fallimento del referendum costituzionale del 2016, rivelatosi uno tsunami per la sua carriera politica, l’ex Premier e Segretario del Partito Democratico (Pd), ha vissuto un crollo della propria popolarità che negli ultimi decenni non ha avuto pari in Italia. Questo è avvenuto nonostante il cambiamento della Costituzione (di sicuro non perfetto), il superamento del bicameralismo e una legge elettorale maggioritaria, sarebbero stati provvedimenti fondamentali per il Paese.
Con la crisi e la successiva caduta di Giuseppe Conte i consensi di Renzi e Italia Viva, sono praticamente inesistenti. Eppure con il suo 2% e le truppe da decine di senatori e deputati, Renzi è riuscito a mettere in pratica una strategia politica di altissimo livello. Dal Governo Salvini–Di Maio al Conte Bis, l’ex Sindaco di Firenze è stato sempre assoluto protagonista della vita di entrambi gli esecutivi.
Tuttavia se domandassimo agli italiani della loro soddisfazione rispetto al Governo Conte, avremmo la seguente e secca risposta: “No!“. Questi i motivi: la cassa integrazione e i ristori non arrivano, la disoccupazione aumenta, le aziende chiudono, la giustizia è allo sfascio, le scuole aprono con il contagocce (unico caso in Europa), la sanità è a rischio collasso, fisco e burocrazia non sono stati riformati (e continuano a soffocare il Paese), le grandi opere pubbliche sono ferme, la politica estera è arenata (l’Italia ha ormai un ruolo marginale in Europa, nel Mediterraneo e si è allontanata dalla sua storica posizione atlantica – nello scacchiere geopolitico – per avvicinarsi al regime cinese).
In pratica sotto qualsiasi punto di vista, il precedente Governo era del tutto fermo. E non solo nell’anno della pandemia. L’esecutivo è sempre stato in agonia, come in uno stato di ‘coma’, a causa delle continue frizioni tra alleati improbabili che facevano parte della maggioranza. E con la necessaria stesura del Recovery Plan, per dire all’Europa come avremmo speso i fondi del Recovery Fund, l’Italia – uno dei paesi con il maggior debito pubblico – non avrebbe potuto permettersi nessun passo falso.
Se l’Italia dovesse perdere questa sfida, rivelandosi incapace di sviluppare un piano concreto ed efficace, non solo perderemmo i soldi ma anche la nostra credibilità con i partners europei e quindi internazionali. Con Mario Draghi abbiamo ottenuto competenza e spessore politico, oltre che tecnico. Avremo l’opportunità di presentarci in Europa e all’estero, con figure dall’alto profilo istituzionale e internazionale.
I giochi di palazzo degli ultimi giorni sono trascorsi a suon di trattative, per questo non possiamo che prendere atto di una cosa: l’Italia ci ha guadagnato. Non solo nella figura del Presidente del Consiglio ma anche in alcuni ministeri chiave, come quelli dell’Economia, della Giustizia (sarà difficile trovare chi non esulterà nel sapere dell’addio di Bonafede), degli Esteri (Di Maio troverà di sicuro un altro lavoro) e dell’Istruzione (con buona pace di chi ha sostenuto l’Azzolina).
Tutto ciò per affermare un principio: non basta una brava persona, distinta, onesta, elegante e capace di parlare più lingue, per guidare una nazione. In politica serve molto altro, su tutto, l’accordo e la capacità di fare compromessi con gli alleati di Governo. Conte da camaleonte D.O.C. (in stile trasformismo 2.0 di marca grillina), è sopravvissuto alla fine dell’esecutivo Salvini – Di Maio, stava per riuscirci di nuovo rispetto alla fragile ‘unione’ giallo–rossa, però ha poi dovuto soccombere davanti alla sua presunzione: quella che per salvarsi sarebbe bastato l’affetto chi gli italiani hanno manifestato per lui.
Ma la politica è basata su numeri, dati, azioni concrete e soprattutto su visioni sociali ed economiche. Tutte caratteristiche che sono mancate a questo Governo. Tornando a Renzi, è indubbio che il leader di Italia Viva sia vittima della propria personalità e del proprio egocentrismo. Però bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: l’ex rottamatore ha fatto fuori Salvini, Conte, affossato e spaccato il Movimento 5 Stelle, messo in grande difficoltà il Pd del quale è emersa la grande ambiguità. Ancora una volta i rottamati hanno battuto i rottamatori.
Per quanto riguarda il Pd: cosa vogliono essere i Dem? La stampella dei grillini e l’incarnazione di una sinistra anti storica, ovvero statalista e giustizialista, o un partito moderno liberale e riformista? Il dilemma è palese considerato il non essersi esposti chiaramente a favore o contro Conte. E non sarebbe clamorosa la conferma di una trattativa sottobanco con il ‘traditore’ Renzi, proprio per mettere fuori gioco l’Avvocato del Popolo e stringere all’angolo del ring il M5S.
Di sicuro la classe politica italiana ha dimostrato di essere in grossa crisi identitaria e incapace di intercettare le necessità e i bisogni dei cittadini. Incapace di comprendere dove soffia il vento del mondo ma brava ad arroccarsi sui propri personalismi di partito. La classe dirigente nostrana da decenni insegue il consenso e non più l’immagine futura del Paese. I politici hanno ceduto il passo ai magistrati prima e ai tecnici dopo. È questo, forse, il grande problema dell’Italia: l’assenza di statisti al riparo dalla mala politica, dai Pm super star, dai media sciacalli e da populisti.
Draghi avrà di fronte alcune difficili missioni: ridare fiducia agli italiani, riposizionare l’Italia in un ruolo primario da un punto di vista geopolitico, sviluppare il Recovery Plan (attuando tutte le riforme necessarie) e fare una nuova legge elettorale. Poi il Belpaese dovrà ripartire e soprattutto tornare al voto. Una democrazia non deve avere paura delle elezioni quando esse avvengono nei contesti più adeguati.
Una nave può essere riparata, la sfida sarà un’altra: quella di individuare il giusto timoniere. Sperando che non sia il Capitano della Lega.