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Ciao Maurizio, gli eroi sono altri: nel Palazzo entri senza la magia

Io di quella notte ricordo veramente poco. Ricordo l’imbarazzo della mattina dopo. Gli sguardi sfuggenti di mamma e papà, in cucina. Ricordo che non sapevo più bene a chi dovevo dire grazie per quel pacchetto con il fiocco rosso sotto l’albero di Natale. Ricordo la sensazione che all’improvviso tutta la magia era sparita. Andata via. Non so bene quando è successo. Non so nemmeno come. Nessuno me l’ha detto. Nessuno ha voluto neanche per un secondo dirmi per davvero che la realtà era quella li, era venuta fuori. E’ vero, Babbo Natale non esiste. Lo sappiamo e lo sapevamo. Ma continuiamo a guardare i film di Natale. Continuiamo ad indossare i maglioncini rossi e a riunirci a tavola con tutta la famiglia. Scartiamo i regali, sorridiamo ai cugini ed abbracciamo i nonni. Babbo Natale non esiste, ma quella magia basata su una favola è parte delle nostre vite. E lì, eterna. E non morirà mai.

Sono finite le Marlboro a sto giro. Qualche cosa l’ho letta. Avrei preferito non farlo. Avrei preferito proteggerlo, il mio sentimento. Ma tu sei un uomo, Maurizio. E gli uomini purtroppo restano uomini. Così bravi con le parole, così dannatamente incapaci di fare i fatti.

Non si può restare fedeli ad una moglie con cui hai divorziato, hai ragione. Ma non si può neanche andare con la zoccola del piano di sopra, Maurizio. E i figli? Ai figli ci hai pensato? Com’è la vista dell’attico? Come ci si sente ad avere le chiavi del palazzo? Come si passa esattamente dal “se non mi diverto non alleno” al “vincere è l’unica cosa che conta”? E la tuta? L’hai messa nel cassetto, Comandante? Ti ho sentito dire che se oggi la società ti imponesse di vestire in un altro modo dovresti accettarlo. Ti lamenterai ancora, in conferenza stampa? Dei rigori non assegnati, della mancata contemporaneità. Della storia che se vince sempre la stessa squadra ci impoveriamo tutti? Il gioco delle metafore che tanto ami non è più dalla tua parte. Capisco, hai ragione. Il professionismo.

Il calcio è professionismo. Recepito. Diglielo tu, però. Ai bambini che si sbucciano le ginocchia e giocano fino a notte fonda ai campetti dell’oratorio. A chi la Domenica macina chilometri per stendere con orgoglio una sciarpa in uno stadio. Ai vecchietti che il lunedì mattina al bar del paese prima parlano di pallone e poi ordinano un caffè. Dillo a Francesco Totti, dai. Un solo colore ed una sola bandiera per tutta la vita. Diglielo, vedrai quello che ti risponderà. Dillo a Claudio Ranieri e alla gente di Leicester. Digli che quei ragazzi che hanno vinto la Premier qualche anno fa erano dei semplici professionisti. Dillo a chi ha creduto a Maurizio Sarri ed al Sarrismo. A chi era come te e vuole continuare ad esserlo. E spera che nessuno se ne accorgerà mai. Perché il giorno in cui tutti realizzeranno che il calcio è professionismo e basta, i tuoi 6 milioni all’anno diventeranno 1.200 euro. Gli stessi che guadagna un operaio in Italia. Perché il calcio sarà anche professionismo, Maurizio. Ma è ancora della gente.

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Sei stato grande. Lo sei tutt’ora, e crescerai ancora di più. Perché sei una delle menti più geniali del calcio moderno. Ma le idee che hai generato e che portavi con te, a volte col sorriso ed altre con orgoglio, erano ancor più grandi. Lo sono e lo saranno. Anche quando alzerai al cielo la Champions con quella maglia lì. Anche quando gli stessi che ti sputavano addosso due anni fa ti porteranno in cielo per un giorno e ti manderanno via a calci quando ne avranno abbastanza di te. Ricordatelo, Maurizio. Sarai grande. Ma sarai sempre più piccolo delle idee.

E dì pure un’altra cosa, alla stessa gente di prima. Sii sincero. Digli che gli eroi sono altri. Che le bandiere esistono, ma tu hai scelto un’altra strada. Che il Sarrismo ha semplicemente sbagliato uomo. E che siamo ancora liberi. Liberi di scegliere. E liberi di ricordare, nonostante tutto, momenti indimenticabili.

Marco D’Arienzo 

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