Hanno trascorso nove anni senza sapere se ce l’avrebbero fatta, ma alla fine hanno vinto la battaglia. È la storia di 12 dipendenti della ex Lafer, azienda campana che quasi dieci anni fa è fallita lasciando senza lavoro 50 operai: 12 di loro però hanno deciso di non arrendersi e dopo mille difficoltà sono riusciti ad acquistare la società, pagando con 15 anni di liquidazione e con l’aiuto di LegaCoop.
“Non posso spiegarlo, non trovo le parole – racconta , presidente della cooperativa e responsabile commerciale della ex Lafer – ti alzi da casa tua e vieni a casa tua. Trovi più energie in tutto quello che fai perché lo fai per te. È un’esperienza unica”. Questo tipo di operazione si chiama workers buyout, cioè operai che rilevano la società per cui lavorano: un caso simile si è avuto pochi anni fa, quando alcuni dipendenti della Italcables decisero di fondare una cooperativa ed acquistare la società che da allora ha ottenuto grande successo, fatturando quasi 19 milioni di euro nel 2017.
“Lavoriamo per noi stessi – prosegue Raffaele Silvestro, presidente della cooperativa e responsabile commerciale della ex Lafer – non è tutto rosa e fiori. Ci sono gli screzi ma si superano. Il nostro è un matrimonio a 12. Sono stato il primo a pensare che dovevamo provarci. Ero il capitano, ho dovuto scegliere se vivere o morire e ho chiamato sulla scialuppa di salvataggio i colleghi con cui potevo collaborare. In una cooperativa si richiede sacrificio, vera collaborazione. So che se ci sono difficoltà, chiedo ai miei compagni di rinviare lo stipendio per pagare un fornitore, e mi dicono di sì”.
Il percorso per arrivare dove sono oggi è stato irto di spine: “Le nostre macchine e il magazzino sono stati messi all’asta e noi abbiamo preso il coraggio a due mani e abbiamo partecipato” spiega Agostino De Luca, vicepresidente della cooperativa ScreenSud. “Il giudice ci ha concesso il diritto di prelazione, supportati da Lega Coop. Ma non eravamo mai entrati in un tribunale e del tutto inesperti dei meccanismi d’asta, eravamo terrorizzati”. Dopo lunghi momenti di tensione sono riusciti a vincere l’asta, ma la strada era ancora tutta in salita, perché i soldi della liquidazione non arrivavano. “Eravamo a 60 giorni dalle scadenze dovevamo pagare le prime forniture e non avevamo soldi – racconta Nicola Sodano – siamo andati ogni mattina alle 7 davanti agli uffici dell’Inps a protestare”.
Risolto il problema Inps però si sono profilati altri problemi all’orizzonte: la neo società ha anche subito furti e sabotaggi nella principale sede dell’azienda, sita a Nola, e proprio quando stavano per tirare un sospiro di sollievo, a pochi giorni dall’inaugurazione il capannone ha preso fuoco. “Quelle fiamme le sogno ancora di notte, è stato un incubo, pensavamo di aver perso tutto” sono le parole di Antonio Cimmino. “Abbiamo dovuto aspettare altri sei mesi. E questo ha voluto dire altri soldi. Abbiamo trovato un altro capannone ad Acerra. Abbiamo partecipato ai lavori, per accelerare. Davamo una mano, abbiamo imbiancato i muri e sistemato l’impianto elettrico”.
“Un percorso a ostacoli difficilissimo, se ci penso ora mi vengono i brividi – spiega Carmine De Luca – Abbiamo lottato anche a casa nostra. Mia moglie mi diceva di trovarmi un altro lavoro. Io ero sempre nervoso: avevo molta paura ma ho deciso di rischiare perché mi fidavo dei colleghi. La disperazione ci ha dato la forza di rischiare e forza di volontà per realizzare”.
Ad oggi la ScreenSud, che si occupa della produzione di telai in acciaio e reti antintasanti-setaccio per l’industria edile ed estrattiva, fattura 2 milioni l’anno. Gli operai, tra i 36 e i 50 anni, lavorano in un capannone di circa 1800mq nell’area Asi di Acerra. La coop è riuscita anche ad espandersi all’estero: oltre al mercato italiano, buona parte della loro produzione viene esportata in Nord Africa, Australia e nel resto d’Europa.
“Il momento più bello è quando siamo entrati qui, ad Acerra – aggiunge di Michele Amaro – anche se non eravamo ancora partiti. Ho respirato, dopo 3 anni senza lavoro. È stato orribile. Spero che il nostro esempio possa aiutare altri in Campania. Al Sud purtroppo manca la cultura della cooperazione, c’è troppa diffidenza”.