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Bruciata viva mentre era incinta, 18 anni confermati in Cassazione per l’ex di Carla Caiazzo

Era all'ottavo mese di gravidanza, negli ultimi 3 anni ha subito numerosi intervenuti in chirurgia plastica ricostruttiva

Confermata dalla Cassazione la condanna a 18 anni di reclusione per Paolo Pietropaolo, il 42enne accusato del tentato omicidio (e stalking) di Carla Caiazzo, 42 anni, avvenuto poco più di tre anni fa, il primo febbraio 2016, a Pozzuoli. La donna venne gravemente sfregiata con il fuoco dal suo ex compagno. Era all’ottavo mese di gravidanza e poco dopo il ricovero d’urgenza all’ospedale Cardarelli diede alla luce Giulia Pia grazie a un vero e proprio miracolo dei medici, che fecero partorire la donna nonostante le gravi ustioni riportate.

Sia in primo che secondo grado, lo scorso 28 novembre 2017, Pietropaolo era stato condannato a 18 anni di reclusione. Agì per gelosia perché la loro storia era finita e Carla, pur aspettando una bambina da lui, aveva iniziato una nuova relazione.

“La Cassazione ha fatto giustizia non solo per Carla ma per tutte le donne che quotidianamente sono vittima della violenza bieca di pusillanimi». Così, l’avvocato Maurizio Zuccaro, legale di Carla Caiazzo.

Assistito dall’avvocato Gennaro Razzino, Pietropaolo dopo la sentenza in Appello provò più volte a giustificarsi: “Non smetterò mai di chiedere perdono a Carla, a nostra figlia, alle nostre famiglie, a tutte le donne e anche a me stesso”. L’uomo definì il suo gesto “atroce, repellente, assurdo. Io stesso ho difficoltà a identificarmi in quella persona” aggiunse.

LA RINASCITA – “Le cicatrici sono più ‘morbide’, oggi mi riconosco grazie ai medici”. Protagonista dell’ultimo episodio del docu-web in Prima Linea, realizzato da VocediNapoli.it sull’ospedale Cardarelli, Carla Caiazzo nei mesi scorsi ha raccontato la sua esperienza, durata cinque mesi, nel più grande ospedale del sud Italia. Nel corso degli ultimi tre anni Carla ha subito numerosi intervenuti in chirurgia plastica ricostruttiva.

“Devo tutto ai medici del Cardarelli – racconta -. Hanno fatto in modo che mi riconoscessi oggi. Ho tante cicatrici, e quelle purtroppo non me le potrà togliere nessuno, però sono diventate morbide, simbolicamente parlando. Ho visto mia figlia dopo tre mesi perché ero ricoverato in terapia intensiva e non ero pronta a vivere un’emozione così forte. E’ stata una sensazione unica, irripetibile, ero molto giù e lei mi ha dato la giusta carica.

“E’ come ucciderti lasciandoti viva perché a volte mi sono sentita morire. Guardarsi allo specchio e non vedersi più, non vedere la stessa immagine, per me è stato uno choc. Il mio lavoro è quello di accettare quello che non è più possibile riavere. Vado avanti e cerco di accettarmi per come sono. Prima mi soffermavo su delle sciocchezze ora invece mi godo una giornata di sole, mi godo mi figlia, il mio compagno la mia famiglia e tutto con un sapore diverso. Ho ripreso la mia vita grazie ai medici del Cardarelli e all’equipe del dottor Roberto D’Alessio.