Voce di Napoli | Navigazione

Se il problema alla Scala è accettare o meno i milioni dei sauditi

Mentre a Milano si discute per far entrare nel Cda esponenti arabi, il futuro del Teatro San carlo è incerto e al centro di uno scontro istituzionale

Napoli, febbraio 2019. La notizia ha fatto sussultare un pò di persone e scatenato un dibattito pubblico durato qualche giorno. Dal governo sarebbe arrivato il benestare per una gestione del Teatro San Carlo da parte del comune. Poi, come spesso accade in Italia, c’è anche stato un primo dietrofront: a decidere non sarà il Ministero italiano dei beni artistici e culturali (MIBACT), bensì quello dell’Econmia e finanze (MEF).

Milano, marzo 2019. Anche nel capoluogo lombardo c’è stata un’importante novità che ha coinvolto il teatro dell’opera cittadino: La Scala. Ed anche a casa della Bella Mdunina, non sono mancati scontri e polemiche tra le istituzioni. Il motivo? Opporsi o sostenere l’ingresso di esponenti della famiglia reale saudita all’interno del Cda del teatro.

Due notizie differenti per due città diverse, da un punto di vista geografico, economico e politico. E in un periodo in cui si parla tanto di autonomia differenziata delle regioni, questa contrapposizione non può non balzare all’occhio dell’opinione pubblica. Il discorso è semplice ed evidenzia il contesto nel quale NapoliMilano si stanno muovendo per il futuro di due patrimoni storici e culturali del Paese, a livello mondiale.

Al di la degli aspetti strettamente più tecnici e burocratici, a Napoli il Teatro San Carlo ha un futuro sempre incerto, nonostante gli ottimi numeri fatti registrare al botteghino. Già l’anno è iniziato male, con la comunicazione da parte della Camera di commercio di Napoli (uscita da un commissariamento) di non voler contribuire alle finanze del teatro dell’opera (il cui Cda è anch’esso fuoriuscito da un commissariamento).

Per quest’ultimo è stato approvato il bilancio, dopo anni di crisi, che secondo il Sole24Ore è così costituito: “Il più grande e antico teatro d’Europa realizza una produzione annua (secondo il preconsuntivo 2018) di 40 milioni di euro. A questi contribuiscono in primis lo Stato con una quota del Fus di 13,2 milioni (33%), la Regione Campana con un budget di 10,8 milioni (27%), Città Metropolitana e Comune di Napoli che versano rispettivamente 2,3 milioni (5,7%) e 600mila euro (1,5%). Si aggiungono 7 milioni (18%) di incassi di biglietteria e 1,4 (4%) provenienti da sponsor privati. Tutto ciò fa sì che il consiglio di amministrazione sia presieduto ope legis dal sindaco di Napoli e sia composto da due personalità scelte dal ministero dei Beni culturali, uno dalla Regione e uno dalla Città metropolitana“.

La notizia di una possibile gestione del bene da parte del comune ha scatenato forti reazioni. In molti si sono chiesto: “Perchè un patrimonio come quello rappresentato dal San Carlo deve essere gestito da un ente che rischia il fallimento ed è costantemente sull’orlo del dissesto finanziario?“. E così mentre a Napoli, come spesso succede, bisogna trovare i modi per sopravvivere, a Milano il discorso è completamente diverso.

Addirittura, nella capitale del Nord, le istituzioni hanno il lusso di poter discutere sulla possibilità di far entrare o meno, nelle casse del Teatro alla Scala, circa 15 milioni di euro garantiti dall’ingresso dei sauditi nel Cda. Il problema sarebbe il pericolo di un'”infiltrazione araba” nel tessuto socio-economico e politico della città. Al di la di come la si possa pensare, magari a Napoli ci potessimo permettere di scegliere, se accettare o rifiutare, investimenti del genere. Per adesso dobbiamo accontentarci e rassegnarci delle due differenti velocità con le quali viaggia l’Italia. Ed è inutile spiegare chi sia la lepre e chi la tartaruga.

Se il problema alla Scala è accettare o meno i milioni dei sauditi