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La storia di Armando Riccardo, il “falco” stroncato dai pentiti: “Assolto dopo 18 anni”

Si chiude finalmente un capitolo lungo e doloros per Armando Riccardo, il poliziotto della squadra dei ‘Falchi’ assolto dalle accuse di concussione e corruzione dopo diciotto anni.

Riccardo, che nel corso della sua carriera ha ottenuto 32 tra encomi e lodi, sembrava avviato ad una promozione quando nel 2008 è stato arrestato per concussione e rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Ad accusarlo le parole di alcuni pentiti secondo i quali Riccardo aveva preteso dal clan Prestieri 20 milioni di lire per eliminare alcune fotografie che testimoniavano il coinvolgimento nello spaccio di sostanze stupefacenti di alcuni affiliati. Tuttavia ci sono satte delle incongruenze fra i racconti dei testimoni, e dagli atti risulta che quel giorno il poliziotto era altrove. Così il Riesame annullò l’ordinanza di custodia cautelare per via dell’assenza di indizi decisivi di colpevolezza.

La sua storia – raccontata dal Corriere del Mezzogiorno – purtroppo non finisce qui perché saltano fuori altri testimoni. Stavolta sono i poliziotti che accusano Riccardo di corruzione: avrebbe accettato denaro per omettere controlli sullo spaccio. Ma dopo l’arresto la misura è nuovamente annullata perché le dichiarazioni non sono considerate credibili e soprattutto si riferiscono ad un periodo in cui l’indiziato non solo era minorenne, ma non era ancora arruolato in polizia. Nonostante le lacune nei racconti dei presunti testimoni, la Procura ottiene il rinvio a giudizio, e a Riccardo è contestato anche un ennesimo episodio di corruzione non citato in precedenza.

Il  processo, iniziato nel 2015, vede imputato per concussione anche l’ispettore capo Vincenzo Pescatore. Dopo quasi quattro anni arriva finalmente l’assoluzione. La IV sezione del Tribunale di Napoli, presieduta da Loredana Acierno, ha infatti ritenuto inattendibili le dichiarazioni dei testimoni. Tra due mesi saranno  inoltre rese note le motivazioni della sentenza.

Armando Riccardo ha oggi 44 anni e lavora alla Polfer di Roma Termini. Diciotto anni di accuse infondate hanno lasciato il segno su di lui, che ora guarda con amarezza al passato: “La mia vita è distrutta. Mi sono separato da mia moglie, la carriera è bloccata, ho avuto gravi difficoltà economiche.” racconta. “Avevo fatto tremare i clan e portato a termine operazioni importantissime: fui tra i primi, quando ero in servizio al commissariato Arenella, a individuare in Rosario Privato uno degli assassini della povera Silvia Ruotolo. Nel ‘99, a Secondigliano, arrestai 99 persone. E se è stato colpito e sconfitto il clan dei Di Biase nei Quartieri Spagnoli è anche merito mio. Ora, definita la vicenda giudiziaria, resta in piedi quella disciplinare: penso di rivolgermi direttamente al ministro dell’Interno, Salvini. Vorrei che intervenisse lui per restituirmi la dignità che merito”.

Riccardo è intenzionato a chiedere un risarcimento per l’ingiusta detenzione, risarcimento che, ammette, intende devolvere interamente in beneficenza.

Secondo Paolo Abenante, legale di Riccardo, la vicenda deve far riflettere: “Si assiste da anni, nella prassi degli organi inquirenti, al sovvertimento del principio codificato dalla legge di presunzione di inattendibilità relativa del pentito e ciò va a tutto svantaggio della persona ingiustamente accusata. Per cui, in base a quello che accade in sede di indagini, il pentito, a priori, viene dichiarato credibile, mentre la protesta di innocenza dell’accusato, accompagnata dalle relative prove di innocenza, non viene considerata attendibile”.