Raffaele Perinielli, per gli amici “Lello”, il 21enne ucciso sabato notte da una coltellata al cuore, non aveva nulla a che vedere con la camorra e con la malavita di Miano, periferia a nord di Napoli, storico fortino del clan Lo Russo segnato negli ultimi anni da arresti e pentimenti eccellenti. Il suo unico errore è stato quello di essere nato in una zona della città completamente abbandonata dalle istituzioni, dove litigi in discoteca si risolvono dopo una settimana con un fendente al cuore.
Lello era un ragazzo che la mattina andava a lavorare in una cooperativa di pulizie in servizio nella cittadella di Monte Sant’Angelo dell’Università Federico II. Si alzava presto per far trovare la facoltà pulita agli studenti universitari. Lavorava sodo insieme alla madre, le cui parole ieri hanno voluto ribadire solo una cosa: “Mio figlio era un bravo ragazzo, un lavoratore. Amava giocare a calcio e con la malavita non aveva nulla a che fare”. Il riferimento era all’omicidio del padre di Lello, Giuseppe Perinelli, ammazzato nel 1999 nell’ambito di una cruenta faida di camorra tra il clan Misso del Rione Sanità e l’Alleanza di Secondigliano, di cui il clan Lo Russo ne faceva parte.
IL VIDEO DI RAFFAELE PERINELLI A LAVORO:
“L’ho cresciuto io a mio figlio” ha ribadito più volte la donna. Lello era incensurato e quando suo padre venne ammazzato aveva appena 2 anni. E’ stato bravo, così come tanti altri suoi coetanei, a restare fuori dall’orbita della malavita che in terre come Miano può attrarre decine di giovani, ammaliati dal guadagno facile in un quartiere che lo stato si ricorda di onorare solo quando si verificano tragedie simili. E’ stato bravo a coltivare la sua passione per il calcio che l’ha portato a giocare in serie D con le maglie di Gragnano e Turris e che gli avrebbe garantito, almeno per i prossimi anni, un futuro anche in categorie inferiori (Eccellenza, Promozione) dove si gioca in cambio di rimborsi economici modesti (dai 200 ai quasi mille euro). Raffaele – così come ha ricordato l’Afro Napoli United (club che milita in Eccellenza) – “la sua battaglia l’aveva già vinta con una fedina penale immacolata”.
LA LITE – Raffaele ucciso per aver fatto da paciere
Il suo omicida, Alfredo Galasso, 31enne venditore ambulante, si è costituito poche ore dopo presso la stazione dei carabinieri di Casoria. Ai militari, alla presenza del suo avvocato Rocco Maria Spina, ha raccontato una verità che fa acqua da tutte le parti. Per una settimana è sceso armato di coltello perché temeva di essere aggredito da Lello, uccidendolo poi sabato sera, agendo d’impeto e senza subire un’aggressione vera e propria. Motivazioni che hanno portato il magistrato Anna Frasca della procura di Napoli a contestare l’omicidio doloso aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione.
Fa riflettere anche il messaggio lanciato da don Francesco Minervino, parroco di Miano: “[…] Da queste parti spesso sentiamo che nuovi filosofi, tuttologi da altre remote parti pensano di sapere esattamente come vanno e come risolverle queste cose. Per poi spesso scoprire che non sanno (i filosofi) neanche di cosa parlano. Da queste parti troppi non hanno capito che dal male nasce solo male e dalla violenza solo violenza, in una spirale che imprigiona. Ah e capita che qua hanno cambiato tutto, ma che tutto è sempre uguale […]”.
LA STORIA – “Lello”: la morte del papà, il sogno del calcio e il litigio che l’ha ucciso