Napoli patria del guanto? Lo è stata, e ancora oggi, nelle tecniche e nella consapevolezza dei maestri guantai napoletani, la tradizione continua. Una tradizione che sotto il Regno delle Due Sicilie portò Napoli a guadagnare il centro dei commerci mondiali, proponendosi come leader assoluta nella ideazione e nella creazione di guanti, scavalcando realtà anche più storicamente consolidate della sua.
Il guanto non nasce certo quando a Napoli c’erano i Borboni. Il guanto ha una storia millenaria. Lo utilizzavano già nell’antico Egitto, anche se il privilegio era riservato ad una classe sociale che andava dal faraone in su. Il motivo stava nel fatto che il guanto non veniva inteso come un semplice oggetto per ripararsi dal freddo, ma assumeva significati religiosi particolari. Prova ne è il ritrovamento di un guanto prezioso nella tomba di Tutankamon.
Il guanto così come lo conosciamo oggi, quell’oggetto che ripara le mani, era noto anche ai Greci e ai Romani antichi. Senofonte citava i guanti volendo scavare un solco tra chi, come i Persiani, li usava per il semplice vezzo di non voler il corpo a contatto con l’aria, e chi, come i Greci, li usava per necessità, nei lavori pesanti all’interno delle ville, come testimonia Omero o chi per lui nell’Odissea.
Nella maggior parte dei casi, in Grecia e nella Roma antica i guanti consistevano in un semplice sacchetto di materiali variabili, dotato di lacci per assicurarlo al polso. All’interno andavano inserite le mani per garantire loro calore e protezione contro le basse temperature e il contatto con materiali usuranti, nei lavori manuali.
Ma già a partire dai tanto vituperati Persiani, i guanti potevano assumere una conformazione che seguiva da vicino la fisionomia della mano, avvolgendo ogni dito in un involucro diverso. Nelle forme evolute più primitive, il guanto offriva dimora da una parte al pollice, dall’altra al resto della mano, garantendo maggiore libertà di movimento rispetto al sacchetto greco-romano.
Nel Medioevo il guanto riappare a consacrare il rango di intere classi sociali. Solo gli aristocratici potevano infatti permettersi guanti di velluto, sofficissimi al tatto e tempestati di ornamenti preziosi quali gemme e diamanti. Certo, nel caso dei cavalieri, il velluto cedeva il posto al vile metallo, molto più utile in battaglia, ma altrettanto dispendioso nel compenso dovuto al fabbro di turno.
Il guanto in quest’epoca torna ad assumere una valenza simbolica, e ne viene richiesta la presenza all’interno di un gran numero di cerimonie ufficiali, come le investiture dei feudatari, o in ambito religioso nella nomina dei vescovi. E’ proprio in questo periodo che nasce la consuetudine nobiliare di lanciare il guanto in faccia ad una persona invisa, come gesto di sfida.
La Francia assume il primato nella produzione dei guanti a partire dal 1600. Ma un secolo più tardi Napoli recupera terreno commerciale, fino ad invertire i rapporti di forza con l’industria conciaria francese, arrivando a detenere l’assoluto primato nella vendita dei prodotti Made in Naples.
L’impulso decisivo nel raggiungimento del primato commerciale lo diedero i sovrani borbonici, che, come in tanti altri campi, vollero il Regno delle Due Sicilie protagonista indiscusso europeo nella qualità e nell’avanguardia dei propri prodotti. I guanti non facevano eccezione, e l’industria tessile e conciaria si adeguò al dictat imperiale, rispondendo con guanti talmente belli e resistenti da essere richiesti persino oltreoceano.
L’apoteosi del guanto napoletano prosegue per tutto il 1800, raggiungendo mercati sempre più lontani, e confermando la propria fama fino al 1900 inoltrato. Negli anni 30 viene pubblicato un articolo in “Rassegna Economica”, che dimostrava, dati alla mano, come effettivamente i guanti napoletani fossero i più richiesti al mondo.
Lo stesso articolo ricordava però come l’industria dei guanti a Napoli non avesse fatto alcun progresso da decenni, conseguendo quegli straordinari risultati nonostante tutto fosse fatto esclusivamente a mano. Il gap nella velocità della produzione industriale rispetto agli altri paesi, era colmato da una mano d’opera che vedeva impiegati ben 25000 napoletani esperti nella creazione e nella concia dei guanti.
Dagli anni quaranta, a causa della guerra, progressivamente la produzione di guanti a Napoli è andata scemando. La tradizione no. Non c’è più l’esercito di 25000 artigiani esperti confezionatori di guanti, ma in molte famiglie viene perpetrata quest’arte antica, specie nel Rione Sanità, nel quartiere Stella, e a Capodimonte. Sopravvivono altre sì aziende che sono riuscite a sopravvivere grazie alla qualità dei loro prodotti, alla capacità di ammodernarsi rispettando i segreti della tradizione.