Se parli della musica e del teatro a Napoli, e conosci la città, presto o tardi t’accorgi che stai parlando dei napoletani. Musica e teatro non sono fiori all’occhiello della storia artistica partenopea, sono fiori che germogliano ogni giorno tra i vicoli e le grandi arterie della città. E allora ti chiedi se i Conservatori cittadini, decisivi nella formazione della Scuola Napoletana, ne siano effettivamente causa, o rappresentino piuttosto la conseguenza di un DNA già scritto nel carattere del popolo napoletano.
Che i conservatori siano stati alla base della Scuola Napoletana, comunque, non v’è dubbio alcuno. Il processo, secolare, è stato favorito da una serie di contingenze che a partire dal 1500 sembravano confluire tutte nella medesima direzione. L’istituzione del Conservatorio nacque a Napoli senza che la musica facesse parte dell’iniziale progetto. Si trattava di enti privati che accoglievano tra mura sicure i ragazzi disagiati.
Chi perdeva i genitori, chi da essi veniva abbandonato, chi per varie traversie si ritrovava da solo e allo sbando, poteva contare su queste istituzioni, che prelevavano fanciulli dalle strade, e davano loro un’istruzione improntata all’acquisizione di un mestiere. Le occupazioni con cui questi giovanissimi si confrontavano ogni giorno erano di carattere soprattutto artigianale.
Ma pian piano, e non troppo tardi, tra i vari mestieri cominciò a far capolino anche la musica. Perché mai, anziché imparare un mestiere solido, in grado di garantire un barlume di sopravvivenza in tempi difficili, un ragazzino avrebbe dovuto cominciare a studiare musica? Perché la richiesta era enorme.
A partire dal 1500, ed ininterrottamente fino al 1700, Napoli è sotto il giogo spagnolo. Si avvicendano in questa fase storica una serie di viceré che hanno quasi tutti incredibilmente a cuore le sorti dell’arte. In realtà l’arte era lo specchio nel quale amavano guardarsi. Napoli è quindi in questi secoli un fiorire continuo di cappelle, chiese, basiliche, lautamente finanziate dalle vicereali committenze.
E’ in questi secoli che va parallelamente crescendo la convinzione che ogni famiglia nobiliare non lo fosse abbastanza finché non si dotava di una residenza, di un “palazzo”, all’altezza della propria storia. Dal 1500 in poi, infatti, chi prima chi dopo, non c’è nobile che resti senza una sua residenza storica, adeguata al lignaggio del casato che rappresenta.
E cosa c’entra la musica? Nei conservatori si sarebbe potuto insegnare il mestiere a chi si occupava di tirar su palazzi e chiese. E invece no. Una volta che quei palazzi e quelle chiese venivano ultimati, nei primi si organizzavano feste, nelle seconde si celebravano ricorrenze sacre. Per la buona riuscita di una festa o di una celebrazione liturgica, servivano cantanti e musicisti.
Detta così potrebbe sembrare un’inezia. Alcuni cantano in chiesa, altri suonano per qualche festa nobiliare. Ma il fervore di Napoli dal 1500 al 1700 imponeva ben altro che una suddivisione equa del materiale umano a disposizione. Richiedeva una moltiplicazione ed una rigenerazione costante di quel materiale umano.
Di qui la necessità di formare sempre nuove generazioni. La necessità che le vecchie leve divenissero maestri delle nuove. La necessità di un metodo di studio che prevedesse l’esercizio non come addestramento, ma come prodotto da spendere immediatamente come performance nel mondo del lavoro.
Si formavano musicisti già da subito in grado di competere nel frenetico ambiente di lavoro musicale napoletano, sia perchè la full immersion nella musica era seriamente “full”, sia perchè per impostazione si perseguivano obiettivi artistici sin da subito, bypassando la fase del “didatticamente correct”.
CONSERVATORIO SANTA MARIA LORETO
Il primo conservatorio di Napoli fu il Conservatorio di Santa Maria Loreto. Nato nel 1535 grazie all’iniziativa di un calzolaio chiamato Francesco, consisteva inizialmente in una cappella costruita accanto alla Chiesa di Santa Maria di Loreto, adibita a rifugio per bambini disagiati. Un calzolaio, da solo, avrebbe potuto ben poco. Ma lo sostenevano ricchi mecenati, tra cui addirittura il viceré.
Nel 1537 Giovanni di Tapia arricchì l’istituzione di un orfanotrofio vero e proprio. Con il cambio di sede, e locali più ampi, non trascorse molto tempo dacché questi luoghi divenissero la scuola di musica che il tempo ha rivelato operosissima. 1500 ragazzini, moltissimi napoletani, per il resto stranieri, furono registrati nel Conservatorio di Santa Maria Loreto.
Un secolo circa dopo la fondazione il Conservatorio era una realtà talmente apprezzata che cominciava a reggersi autonomamente grazie alle offerte di mercanti e commercianti, che lasciavano ben volentieri il loro obolo nel salvadanaio preposto, allo scopo di dare una mano ai bambini meno fortunati, e di seguirne successivamente la carriera da professionisti.
Insegnò al Santa Maria Loreto una generazione di maestri insuperabili. Durante, Provenzale, Porpora, per la composizione. Farinelli, Caffarelli, Porporino per il fronte canto. E su quest’ultimo punto è importante aprire una breve parentesi. La scuola napoletana istruiva soprattutto castrati, uomini in grado di prodursi in falsetti vertiginosi.
Moltissime opere dell’epoca venivano scritte e dedicate a castrati specifici, di cui Farinelli rappresenta ancora oggi l’emblema ed il nome più noto, ma insieme a lui conviveva un’intera generazione di cantanti che dettò legge per più di un secolo a Napoli, prima che le evoluzioni del teatro, le dimensioni dei luoghi e delle opere, richiedessero alle voci maschili e femminili un maggiore grado di specificità.
CONSERVATORIO PIETÀ DEI TURCHINI
In via Medina vedeva la luce nel 1583 il Conservatorio della Pietà dei Turchini. Stesso iter del precedente. Inizialmente i frati della Chiesa della Pietà pensarono ad un orfanotrofio per salvare i bambini dalla fame e da destini incerti. Successivamente ai bimbi fu praticata la castrazione, per influenzarne le voci e meglio indirizzarli al canto.
Vestiti tutti di una mise color turchese, viziati e coccolati tra ampi saloni, cibo a volontà, cure sanitarie, ebbero l’onore e il privilegio di assistere alle lezioni di autentiche leggende nel campo della musica: d’Urso, Sabino, Provenzale, Fago, Leo, Feo, Spontini, Mercadante. Maestri e “Figliuoli” posero anche qui le basi per il successo del teatro esploso nel XVIII secolo.
CONSERVATORIO SANT’ONOFRIO A PORTA CAPUANA
Nel 1578 veniva fondata la Congregazione delle Vesti Bianche. Era questa la divisa che indossavano i bambini accolti presso la Vicaria. Fu nel 1653 che l’istituzione divenne ufficialmente un Conservatorio, di dimensioni ridotte rispetto ai due precedentemente citati. Soli 11 allievi, un maestro per il coro, un maestro per le lezioni di canto.
Anche di qui passarono Durante e Fago, oltre a Caresana, Abos, Sabini, Insanguine, Doll, Cotumacci, Rispoli, Furno, e altri che tentarono di competere in un ambiente mai saturo. Studenti d’eccezione furono invece Jommelli, Paisiello, Piccinni, capaci di estendere la propria fama al di là dei confini italiani, in Francia, Germania, Russia.
CONSERVATORIO POVERI DI GESÙ CRISTO
Nel caso del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, fondato nel 1589, l’anima pia impietosita dalle condizioni dei bambini poveri di Napoli, fu quella di Marcello Fossataro, il Monaco che li raccolse nella Chiesa di Santa Maria a Colonna. Insegnanti famosi: Durante (onnipresente), Porpora, Feo, Abos, Greco. Allievi eccellenti: Giambattista Pergolesi.
CONSERVATORIO SAN PIETRO A MAJELLA
E il Conservatorio San Pietro a Majella? Ai tempi delle fondazioni dei quattro conservatori, il Conservatorio San Pietro a Majella, attualmente ancora in attività, non esisteva. Nacque dalla fusione progressiva dei quattro conservatori, che chiusero in serie dal 1743, a cominciare proprio dall’ultimo nato, quello dei Poveri di Gesù Cristo.
Nel 1806 Giuseppe Napoleone ordinò tutti i conservatori confluissero in quello della Pietà dei Turchini, e che l’istituto risultante fosse note con la nuova denominazione di Real Collegio di Musica. Due anni dopo, constatata l’inadeguatezza dei locali scelti, ne ordinò il trasferimento nel Monastero delle Dame Monache di San Sebastiano. Nel 1826 la fine dei giochi, con la sede definitiva nel Monastero di San Pietro a Majella, e relativa nuova denominazione.