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Il furto della tromba di Chet Baker a Napoli

Napoli e il jazz. Un binomio che è andato crescendo dal dopoguerra ad oggi in maniera esponenziale, soprattutto grazie alla presenza degli americani. Dai primi concerti nelle piazze, nei quali venivano coinvolte Big Band o piccoli gruppi con lo scopo di tenere alto il morale di truppe e popolazione, ai primi programmi radio dedicati al mondo del jazz, ai primi circoli creati in città, in grado di raggranellare un pubblico risicato, ma come si suol dire, d’elite.

Cominciò quindi a formarsi anche a Napoli una generazione di jazzisti, che impararono molto o tutto dagli americani, e negli anni furono in grado non solo di goderne le performance dal vivo, che dal dopoguerra non s’interruppero mai, ma persino di vivere i concerti dei mostri sacri del jazz affiancandoli o condividendone il dietro le quinte. Fu il caso di Alfredo Profeta e dei concerti di Chet Baker a Napoli nel 1960.

Alfredo Profeta nel 1960 era poco più che ventenne. Chet Baker di anni ne aveva 32. Dodici anni di differenza, che nell’ottica di ciò che accadde, potevano essere secoli. Il musicista americano aveva infatti un bagaglio di esperienze professionali già inarrivabile, e soprattutto, come accadeva a molti jazzisti dell’epoca provenienti da oltreoceano, portava a Napoli i suoi bravi problemi di droga.

La dipendenza dall’eroina gli condizionò larghe fasi della carriera, e fu alla base della sua morte (fu sotto l’effetto di sostanze stupefacenti che cadde da una finestra ad Amsterdam). Nel 1960 Chet Baker aveva già serissimi problemi. Non a caso dopo qualche mese dall’episodio che stiamo per riferirvi, fu arrestato in un autogrill di Lucca.

Era chiuso nel bagno da un’ora e mezza, e nonostante le ripetute sollecitazioni del gestore dell’autogrill, non si schiodava da lì. Intervenne a quel punto la polizia, che fu costretta a sfondare la porta a spallate, prima di ritrovarsi di fronte alla più classica delle scene da film: rivolo di sangue, siringa, e l’americano che, spalle al muro, rivela il suo nome.

Quella dose gli costò più di un anno di carcere, sedici mesi per la precisione, nei quali gli fu impedito di suonare la tromba, e soprattutto di drogarsi ancora. Solo negli ultimi mesi la polizia gli concesse cinque minuti al giorno per esercitarsi con la tromba, due volte al giorno. L’astinenza dall’eroina non servì però a fargli perdere il vizio.

Qualche mese prima dell’arresto Chet Baker era a Napoli. Non attraversava uno dei suoi periodi migliori. La droga lo aveva seriamente debilitato, anche se le qualità artistiche risplendevano ancora cristalline. Lo stato di degrado nel quale versava, però, lo portavano ad accettare qualunque impiego, purché retribuito.

Per questa ragione accettò di esibirsi per tre serate di fila in un club di Napoli, per una paga che sarebbe andata bene per un principiante, non certo per uno dei migliori musicisti jazz sulla scena internazionale. Al giovane musicista Alfredo Profeta non sembrava vero di poter gironzolare intorno ad una star di quel calibro.

Immaginiamo l’imbarazzo di Alfredo quando Chet Baker chiese a lui e agli altri ragazzi che gli erano intorno se gli potevano procurare una dose di eroina, perchè ne aveva bisogno. Fu a questo punto che la differenza di età e di esperienze si fece sentire come un macigno. Alfredo e i suoi amici sotto quel punto di vista erano totalmente all’oscuro di informazioni.

L’abuso di droghe pesanti era una consuetudine in America, non certo in Italia, dove i giovani jazzisti avevano saputo solo per interposta lettura che le grandi star del jazz erano solite fare uso di droghe, ma a stento immaginavano cosa fosse l’eroina. Di fronte alla richiesta di Chet Paker, più che inorriditi, Alfredo e i suoi amici rimasero completamente spiazzati.

Chet Baker comprese la situazione, e decise di pensarci da solo. Nel frattempo, però, la sua tromba era scomparsa. A due ore dal concerto della sua tromba non c’era traccia. La triste reputazione di Napoli all’estero veniva confermata ancora una volta, l’ennesima, dal furto della tromba di Chet Baker? Questo è quanto riportano le biografie ufficiali.

La verità era un’altra. Chet Baker, uscito alla ricerca di droga, si era impegnato la tromba, non possedendo denaro a sufficienza per comprarsi una dose di eroina. Vero è che fortunatamente aveva trattenuto per sé il bocchino, in maniera tale che, anche in possesso di una tromba non sua, avrebbe potuto suonare senza che i più s’accorgessero della differenza.

La tromba gli fu procurata da Renato Marini, trombettista della RAI, interpellato da Alfredo Profeta e dagli altri giovani jazzisti che seguirono da vicino quella strana faccenda, e il concerto di quella sera fu memorabile. Chet Baker suonò in maniera straordinaria, e chi fu presente a quel concerto lo ricorda con piacere ancora oggi.

Ma c’erano altre date in programma, in quel locale, per Chet Baker. Che s’inventò la giovane generazione di jazzisti napoletani per fare in modo che non succedesse più ciò che era successo la prima sera? Ogni sera prima del concerto qualcuno faceva sparire la tromba a Chet, in maniera tale che non potesse più barattarla con una dose. Funzionò. Purtroppo, solo per poco. Chet non guarì mai da quella terribile dipendenza.