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Il primato del telegrafo elettrico nel Regno delle Due Sicilie

Oggi con internet non ci stupiamo più di nulla. Se pensate alla velocità con cui viaggiano le notizie da un capo all’altro del mondo, e alla velocità che ci impiegherebbe un essere umano a recapitarle camminando sulle sue gambe, il confronto, va da sé, è impietoso. Eppure un tempo, prima dell’invenzione del telegrafo, non c’era alternativa. L’unica maniera per cui qualcuno poteva comunicare con qualcun altro a grandi distanze era montare a cavallo, e sperare che la povera bestia non morisse per strada.

Questa era la velocità, prima del telegrafo. Le notizie, soprattutto quelle importanti, che avvenivano tra Stato e Stato, tra un regnante e l’altro, tra un generale ed il suo secondo in grado sull’altro versante della Nazione, impiegavano settimane ad essere trasmesse. Mesi, se si trattava di comunicazioni intercontinentali. Anni, in caso di naufragi ripetuti delle navi nell’Oceano Atlantico.

Gli indiani, nell’ovviare a questi disagi, furono precursori. I loro segnali di fumo, quelle che oggi compaiono solo nei cartoni animati, erano in realtà una prima forma di telegrafo, che sfruttava una serie di postazioni utilizzate come veri e propri ripetitori moderni di segnali radio (allora ottici) per recapitare messaggi anche a grandissime distanze.

Ma chi diede un impulso decisivo alla velocità nelle comunicazioni, fu il nostro Alessandro Volta. L’invenzione della pila spalancò un mondo fino ad allora inesplorato, circa la possibilità di gestire la corrente elettrica per una quantità smisurata di applicazioni pratiche. Gli effetti, in particolare, dell’interazione tra corrente e magnetismo inaugurarono una stagione di studi sull’elettromagnetismo che portò ad un’accelerazione inaudita della tecnologia.

Un esempio relativo al mondo delle comunicazioni fu il primo telegrafo a due aghi di Henley, che si avvalse degli studi di Oersted e di Ampère sugli aghi che si muovevano sotto l’influsso della corrente elettrica. Una stazione trasmittente produceva corrente, e nella stazione ricevente l’addetto alla lettura dei messaggi prendeva nota delle lettere indicate dall’ago in movimento.

Fu questo il sistema di telegrafi che ritrovarono già approntato gli austriaci quando, per collegare la propria alla rete telegrafica degli Stati italiani, giunsero nel Regno delle Due Sicilie grazie al lavoro della compagnia “Lega Telegrafica Austro – Germanica”. Era il 1852. L’Austria aveva già perfezionato le comunicazioni con il Veneto, la Lombardia, il Piemonte, il Granducato di Toscana, e lo Stato Pontificio.

La situazione che gli austriaci trovarono nel regno di Ferdinando di Borbone era surreale. Tutte le città più importanti erano già in grado di comunicare tra loro a lunga distanza, nonostante un territorio inospitale che poneva serissime difficoltà alla creazione dei pali e dei fili per le trasmissioni. Ciò che dovettero modificare fu esclusivamente il codice utilizzato per i messaggi: il Codice Morse Continentale.

La sorprendente situazione meridionale era figlia in realtà della lungimiranza del sovrano, il quale, non appena seppe degli studi di Morse e dei primi rudimentali esperimenti sul telegrafo, intravide le mille opportunità economiche e militari che questo sistema poteva offrire. In molti furono i detrattori, vuoi per l’impatto paesaggistico dei pali, vuoi per le difficoltà arrecate ad agricoltura e allevamento, vuoi per lo scetticismo dei tradizionalisti, ma ovviamente la volontà del Re ebbe la meglio.

Ferdinando diede mandato al Corpo Militare di Strade e Ponti di avviare una ricognizione approfondita sul territorio, e di approntare un’ipotesi realizzativa per la fitta rete di pali e fili di telegrafo che avrebbero collegato tutte le maggiori città delle Province del Regno delle Due Sicilie dotate di ufficio postale e stazioni ferroviarie. Il resoconto fu disarmante: le difficoltà, tra monti, valli, colline, fiumi, mari, sembravano insormontabili, e le eventuali soluzioni, costosissime.

Incredibile a dirsi, ma nel luglio del 1952 Ferdinando era in quel di Gaeta per la cerimonia di inaugurazione del telegrafo elettrico. Giunsero in quell’occasione messaggi telegrafati dalle altre stazioni attive del Regno. Erano infatti già dotate di telegrafi prodotti dall’Officina Generale la Reggia e le stazioni ferroviarie di Napoli, di Caserta, di Cancello e di Maddaloni.

Ciò che però lasciò l’intera Europa a bocca aperta furono i collegamenti via mare, realizzati un decennio più tardi. Il Real Opificio di Pietrarsa sfornò dei cavi adatti a replicare il segnale elettrico del telegrafo anche ad altissime profondità marine. Una sfida tecnologica che vide sconfitti anche gli inglesi, solitamente all’avanguardia, i quali, anni dopo il telegrafo del Regno delle Due Sicilie, provarono a collocare i loro cavi sotto la Manica, fallendo clamorosamente.

I cavi sottomarini dei telegrafi borbonici durarono fino al regime fascista, che li abbandonò per sostituirli con un sistema innovativo. Ma in seguito al fallimento di quest’ultimo anche Mussolini si ritrovò costretto ad utilizzare la rete prodotta da Pietrarsa quasi un secolo prima, ancora perfettamente funzionante. C’è chi sostiene che quei cavi potrebbero risultare operativi ancora oggi.

Il segreto di tanta longevità? Non si conosce, ma ci sono alcune documentazioni dell’epoca che testimonierebbero la presenza a Napoli di Samuel Morse (l’inventore del primo telegrafo elettrico, nonché dell’alfabeto più utilizzato per le trasmissioni di quel tipo). L’inventore statunitense avrebbe potuto collaborare con gli esperti di Pietrarsa ad un brevetto segreto.

Ai primi collegamenti telegrafici terrestri tra Napoli, Caserta, Cancello e Maddaloni, ne seguirono molti altri: Capua, Nola, Torre Orlando, Terracina, Avellino, Ariano Irpino, Nola, Sarno, Nocera, Salerno, Lecce, L’Aquila, Pescara, Potenza e Reggio Calabria. Dal 1856 furono inaugurate le tratte sottomarine che collegavano Reggio Calabria, Messina, e Trapani.

A differenza degli altri Stati italiani, il Regno delle Due Sicilie mantenne un personale rigorosamente autoctono, altamente qualificato per la gestione e la creazione dei propri impianti telegrafici. Altrove gli austriaci dovettero mandare i loro uomini per colmare le lacune professionali del Veneto, della Lombardia, del Piemonte, e persino della Toscana, che pure aveva visto un primo tentativo rudimentale di telegrafo elettrico, con qualche anno d’anticipo sul Regno delle Due Sicilie.

In anticipo sui tempi, il Regno Borbonico, anche riguardo la certificazione dell’identità del mittente. Il problema che assilla anche oggi internet, con le false identità a cui si cerca di porre un limite con trovate come la posta certificata o lo spid, era stato già affrontato e risolto qui al Sud obbligando chi inviava messaggi telegrafici a certificare la propria identità.