All’inizio della strada di Forcella, in una delle zone più rappresentative di Napoli, sorgeva un tempio risalente ai romani e dedicato ad Ercole. Vicino al tempio, delle terme. Si dice queste terme utilizzassero un’acqua sorgiva particolare. Magica, per farla breve. Il suo potere era quello di concedere la fertilità a chi pensava di non averne. Che sia stata la presenza occulta di quest’acqua a scatenare fatti di sesso e sangue nella Chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, questo non lo sanno nemmeno le suore che ne furono protagoniste.
Si, suore. Perché sulle spoglie di quel tempio di Ercole, nel corso dei secoli si sono succedute diverse costruzioni. La prima fu quella dei monaci basiliani, un monastero eretto nel VI secolo. Nel 13° secolo Carlo I d’Angiò ordina una massiccia opera di restaurazione della chiesa, che rinasce a nuova vita. Il monastero annesso passa in gestione alle benedettine e diventa un convento prestigioso per giovani aristocratiche.
Era consuetudine, all’epoca, da parte delle ricche famiglie di Napoli, mandare in convento le figlie femmine che per varie ragioni non conveniva maritare. Una consuetudine atroce, se si considera che si espiantavano dai propri sogni giovani donne nel fiore degli anni, private di colpo del proprio futuro e condannate a trascorrere la loro sola esistenza chiuse in posti ben diversi da ciò che la loro nobile condizione di nascita le aveva abituate a frequentare.
Trapiantate nella nuova situazione claustrale, queste giovani rampolle non sempre si arrendevano al proprio destino. Accadeva di frequente che tentassero in ogni maniera di proseguire quella vita che era stata loro negata, fatta di incontri amorosi, sogni, avventure, abbandoni, piaceri. Il tutto clandestinamente, all’interno di istituzioni religiose che prevedevano per loro tutt’altre occupazioni.
Nel convento annesso alla chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, nel 1540 si ritrovarono radunate 18 nobili e giovani suore che diedero vita alle vicende più scandalose che siano mai mai emerse da un convento. Tutto cominciò a causa dell’invidia di una suora, Eufrasia d’Alessandro, per due sue consorelle: Giulia Caracciolo e Agnese Arcamone. Le due erano legate da profonda amicizia, e dotate l’una di impareggiabile bellezza, l’altra di un’affabilità fuori dal comune.
Eufrasia decise di rompere l’idillio riferendo alla Badessa (Costanza Mastrogiudice) che tra le due amiche intercorreva qualcosa più della semplice amicizia. La Badessa, incautamente, avvisò la potente famiglia Caracciolo delle preferenze sessuali non proprio ortodosse di Giulia. I Caracciolo liquidarono l’accusa con fastidio, accusando la Badessa di aver perso il lume della ragione a causa dell’età avanzata.
Giulia Caracciolo, però, non fu così tollerante, e venuta a sapere dell’accusa di Eufrasia, decise di vendicarsi. Avvicinò Orsoletta, la serva di Eufrasia, per carpire eventuali segreti della sua accusatrice, e ottenne rivelazioni succulente: Eufrasia ed una sua amica (Chiara Frezza) si incontravano sovente con i loro amanti (Francesco Spiriti e Giuseppe Piatti), all’interno delle mura del convento.
Venuta a sapere del prossimo incontro, Giulia decise di informare la Badessa, in maniera che potesse cogliere gli amanti sul fatto. Ma la notizia dell’incontro segreto giunse anche alle orecchie di Pietro Antonio, figlio del cugino di Giulia, il Principe di Garagusa. Per lavare nel sangue l’onta dell’accusa di Eufrasia d’Alessandro, decise di uccidere il suo amante e quello della sua amica Chiara Frezza.
E così sul luogo dell’appuntamento conversero nello stesso momento Eufrasia e Chiara, i loro due amanti Francesco e Giuseppe, la Badessa, Pietro Antonio di Garagusa, suo fratello, e cinque loro servi armati. Le due suore, scoperte dalla Badessa ad aspettare i loro amanti, fuggirono all’interno del convento, mentre i loro amanti furono uccisi da Pietro Antonio. La Badessa assistette suo malgrado all’omicidio, e per evitare uno scandalo, sotterrò i morti e mantenne il silenzio.
Poteva finire qui? Certo che no. Laura Sanfelice (un’altra suora), fraintendendo le informazioni ricevute, aveva informato Domenico Lagne, Principe di Caposele, che la sua amante Camilla Origlia (l’ennesima suora), si sarebbe presentata a quell’appuntamento per incontrarsi con un altro amante con cui tradiva il Principe di Caposele. Quest’ultimo aveva quindi organizzato a sua volta un agguato, e ritenendo Pietro Antonio fosse quell’amante segreto, lo colpì a morte mentre fuggiva dopo l’omicidio appena commesso. I cadaveri salivano a tre.
Il Convento di Sant’Arcangelo a Baia cominciava a rivelarsi per quello che era: un’alcova di intrecci amorosi tra nobiluomini e suore nobildonne, entrambi senza scrupoli. Chiara Frezza e Eufrasia d’Alessandro, umiliate dalla soffiata di Giulia Caracciolo, che aveva talaltro provocato la morte dei loro due amanti, vollero vendicarsi di lei, della sua amica Agnese, e anche della Badessa che aveva dato loro credito.
Decisero che l’avvelenamento era il sistema migliore per evitare sospetti. Optarono per un veleno che agiva nel tempo, e programmando di somministrarne poche dosi per volta alla Badessa, si servirono della sua serva, Livia. La convinsero promettendole in cambio un incontro amoroso con il cugino di Chiara, Paolo, il quale si prestò volentieri al baratto umano.
Dopo alcune somministrazioni di veleno, la fedeltà di Livia alle sue nuove amiche Eufrasia e Chiara venne ricambiata. Mentre Eufrasia era di guardia, Paolo si introdusse nel convento e raggiunse l’appartamento di Livia, giacendo con lei tutta la notte. Eufrasia nel frattempo si occupò di lasciare aperta la porta del convento, per consentirgli la fuga all’alba. Ma quella porta aperta fu notata da Lavinia Pignatelli, un’altra suora desiderosa di avventure.
Spinta dal desiderio, Lavinia lasciò il convento e bussò alla porta dell’uomo che amava, tale Francesco dei Medici, il quale, essendo un onesto ragazzo perbene, la riaccompagnò al convento senza approfittare di lei. Ma la notte, i giardini, l’atmosfera, giocarono a favore di Lavinia. E i due si ritrovarono a copulare in giardino.
Mentre erano ancora intenti nelle loro effusioni, Eufrasia, scambiandoli per Livia e Paolo, si avvicinò a loro per raccomandare maggior prudenza. Sentendosi chiamare col nome di Livia, Lavinia andò su tutte le furie: lei, di nobilissime origini, scambiata per una serva! Non ci fu tempo per le dispute, però, perchè un rumore sospetto fece fuggire Eufrasia e Lavinia all’interno del convento.
Insospettita dalle parole di Eufrasia, Lavinia decise di andare a controllare cosa c’entrava Livia con lei, e spiando dalla serratura della sua porta, vide i corpi di Livia e Paolo ancora intenti in piacevoli contorsioni sessuali. La Badessa fu informata dell’incontro promiscuo, e cacciò immediatamente Paolo dalla stanza della sua serva Livia. Paolo fu ucciso pochi giorni dopo. Stessa sorte toccò alla Badessa, uccisa dal veleno che per giorni aveva silenziosamente corroso i suoi organi interni.
Il convento si ritrovò improvvisamente privo di una guida. Si scatenò una guerra di successione senza esclusione di colpi. La spuntò la fazione di Chiara Frezza, che fece nominare Badessa Elena Marchese, grazie alle pressioni politiche di Francesco Acquaviva, Duca di Nardò, a cui promise le prestazioni amorose della nipote di Elena: Zenobia Marchese, un’altra suora del convento di Sant’Arcangelo a Baia.
Di tutti questi traffici, ovviamente, giungeva voce all’esterno. Il popolo di Napoli non conosceva nel dettaglio ciò che accadeva in convento, ma che lì dentro le suore fossero parecchio allegre, ne aveva certezza. La voce non poteva non giungere alle orecchie di chi aveva “a cuore” la moralità delle istituzioni religiose. Andrea d’Avellino, allora avvocato della curia, poi divenuto Santo nel 1700, decise di fare chiarezza sulla situazione nella chiesa di Sant’Arcangelo a Baia.
Avviò le indagini, e scoprì effettivamente molti di quegli altarini che le suore avrebbero preferito celare. Ma nel momento in cui l’evidenza delle cose cominciò a richiedere un’azione proporzionata, intervennero le potenti famiglie delle suore coinvolte, intimorendo Andrea d’Avellino fino al punto da costringerlo alla fuga, dopo un tentativo fallito di omicidio.
Messa a tacere l’indagine, il convento proseguì nella sua recente tradizione di scandali, a causa di una nuova arrivata: Candida Milano. La novella suora fu mandata in convento per evitare un disdicevole connubio amoroso con un popolano di rango inferiore. Ma il ragazzo riuscì ad intrufolarsi nel convento viaggiando nascosto nel clavicembalo di Candida. Quel clavicembalo rimase chiuso troppo a lungo, e la notizia dell’amante morto asfissiato fece il giro di Napoli.
Ancora una volta la voce si elevò fino agli alti ranghi. Ma stavolta a muoversi fu il potentissimo Cardinale Paolo Burali D’Arezzo, uomo intransigente e sbrigativo. Inviato un suo emissario incaricato di indagare ancora una volta sulla situazione morale del Convento di Sant’Arcangelo a Baia, il Cardinale riuscì ad ottenere dalle suore una versione completa degli ultimi accadimenti. Tanto bastò per una serie di condanne esemplari.
Chiara e Eufrasia furono condannate a morte tramite veleno; Camilla, Laura, Zenobia ed Elena furono condannate al carcere a vita; altre sette consorelle furono condannate a 10 anni di reclusione; tutte le altre suore del convento furono smistate separatamente in quattro conventi diversi. La lettura della sentenza non mancò di aggiungere un ulteriore tragico epilogo alla vicenda delle suore scandalose di Sant’Arcangelo a Baia.
Zenobia si avventò su sua zia, la Badessa Elena Marchese, uccidendola con una coltellata; Camilla si gettò dalla finestra; Laura si tolse la vita pugnalandosi al cuore; il Duca di Nardò rapì nel bel mezzo del processo la sua Zenobia, portandola via non si seppe più dove; di Agnese, l’amica di Giulia, si persero le tracce; Chiara e Eufrasia assunsero la cicuta prevista dalla pena, ma Chiara si tolse la vita con un pugnale, per evitare le sofferenze procurate dal veleno.