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Piazza Dante e quei mangiatori di carne umana

La storia che sto per raccontarvi sembra tratta da un film horror. Potrebbe apparire a primo acchito come una di quelle esposizioni sussurrate agli amici solo per togliere loro il sonno eppure i tremendi fatti di seguito sono accaduti davvero e un testimone oculare dell’epoca, Carlo De Nicola, ce li racconta nei minimi dettagli a partire dalla Rivoluzione napoletana del 1799 fino ad arrivare alle sue atroci conseguenze. A Parigi, nella notte tra il 19 e il 20 agosto 1792, viene assaltato il Palazzo Reale, il re e la sua famiglia sono imprigionati nella Torre del Tempio.

5 mesi dopo Luigi XVI di Borbone sarà ghigliottinato, mentre Maria Antonietta, sorella di Carolina ( regina consorte di Napoli e Sicilia ), salirà sul patibolo ad ottobre. E’ il 1793. Gli echi e le notizie della Rivoluzione Francese e della decapitazione dei sovrani giunsero a Napoli. Tanto bastò a spaventare Carolina che, da allora, iniziò una politica contro la cultura preoccupata di dover subire la stessa sorte della sua amata sorella. La sovrana fece quindi arrestare Emanuele De Deo che, insieme ad altri tre giovani, aveva aderito agli ideali della Rivoluzione Francese, condannandoli di fatto a morte.

A Roma, qualche anno dopo, esattamente il 15 febbraio 1798, viene proclamata la Repubblica con l’appoggio dei francesi. Papa Pio IV è allontanato a forza dalla Santa Sede dai giacobini romani. Intanto a Napoli la sempre maggiore influenza esercitata dal Ministro Acton e dell’ammiraglio Nelson spinge Ferdinando IV ad armare un esercito che varca il confine della Repubblica Romana per ristabilire il potere temporale di Pio IV. La sua missione ha successo ma si tratta di una conquista effimera perchè nel giro di un solo mese Roma viene nuovamente perduta e le armate francesi invadono il Regno Borbonico.

Venerdì 21 dicembre 1798 è una giornata storica per il popolo napoletano. Il re e la regina lasciano un messaggio dove avvisano la cittadinanza di essere partiti per la Sicilia in modo tale da riuscire ad organizzare potentissimi soccorsi. Prima di lasciare il suolo napoletano però Carolina e Ferdinando danno ordine al Vicario, che rappresenta la Monarchia napoletana in loro assenza, di incendiare i granai e quella parte della flotta in disarmo, situata nel porto di Napoli, che il re non riesce a portare con sé a Palermo. L’ammiraglio Caracciolo tenta di far capire a Ferdinando IV che è una follia abbandonare il capoluogo campano e, di nuovo soggiogato dall’influenza di Nelson, che il sovrano commette l’ennesimo errore.

Il 22 dicembre 1798, infatti, il re parte per la Sicilia insieme alla sua corte sulla nave dell’ammiraglio inglese. Di notte hanno fatto razzia di tutto quello che era possibile trasportare (dai mobili più preziosi dei palazzi reali alle rarità dei Musei di Portici e Capodimonte, dai gioielli della Corona ai 20 milioni e forse più di monete e metalli preziosi non ancora coniati ). Napoli è sola. Vengono incendiate le bellissime navi da guerra, si prova ad incendiare anche i granai ma il popolo guidato dagli intellettuali riesce a salvarli. Siamo ormai all’11 gennaio 1799. A Sparanise, in provincia di Caserta, il Vicario firma l’armistizio con il generale francese Championnet.

Il popolo si credette tradito da tutti. La venuta dei commissari francesi giunti ad esigere le somme pattuite accrebbe i suoi sospetti e il suo furore. I lazzari si opposero ai francesi non prima però di aver supplicato Ferdinando IV di non partire ponendosi alla loro testa ma il re fugge vilmente. Il 16 gennaio 1799 il popolo riesce ad armarsi assaltando il castello e liberando dalla prigionia sia detenuti che politici, il Vicario fugge proprio come era fuggito il re. Tre giorni dopo ogni vincolo sociale viene rotto, il popolo si impossessa della città al grido di ‘Viva la Santa Sede, Viva il popolo napolitano‘.

Viene assaltato il palazzo Filomarino, i due principi Filomarino vengono ammazzati dai lazzari, fatto gravissimo che annuncia poi quello che sarà il bagno di sangue della Repubblica. Il 20 gennaio 1799 molti altri patrioti entrano nel castello, tra loro vestite da uomo un nutrito gruppo di donne capeggiate da Eleonora Pimentel Fonseca. 24 ore dopo sul castello sventola la bandiera francese, mentre l’esercito al comando del generale Championnet si muove all’assalto di Napoli. Molti patrioti lo hanno raggiunto e stanno combattendo al fianco dei francesi. Il popolo napoletano però non si arrende, ostinato a difendersi, sebbene male armato e senza una guida, si oppone.

I preti avevano gettato il seme della discordia avendo raccontato ai lazzari che i francesi volevano entrare in città per conquistare le loro donne e per spogliare la città della ricchezza, dei monumenti, insomma per appropriarsi di tutto. Il popolo organizza quindi una forte resistenza. E’ il 22 gennaio 1799 la battaglia continua. Nello spazio interno al Castel Sant’Elmo i patrioti innalzano l’albero della libertà. Con questo gesto dichiarano decaduta la monarchia e proclamano la Repubblica napoletana. In città intanto si continua a spargere sangue per tutto il giorno.

Napoli trattiene per due giorni l’entrata del nemico vincitore. Il 23 gennaio viene conquistato Castel Nuovo e con esso la città. Quando i lazzari si accorgono d’aver perduto Castel Sant’Elmo, quando si rendono conto di essere stati circondati, si dichiarano vinti ma non sconfitti. Alla rivoluzione napoletana del 1799 fa seguito purtroppo la repressione borbonica e i crudeli atti di antropofagia confermati da alcuni scritti di Diomede Marinelli. Tutto ha inizio nell’attuale Piazza Dante, all’epoca Largo del Mercatello. Nella seconda metà del Settecento la piazza viene risistemata con l’intervento dell’architetto Luigi Vanvitelli e proprio a quest’ultimo viene chiesto di forgiare una statua in bronzo di Carlo III che avrebbe dovuto trovarsi dove oggi è innalzata la statua di Dante.

La storia però ha voluto diversamente. Il sovrano, infatti, fa ritorno in Spagna e di quella commissione non resta che un grande modello in stucco, posizionato ai bordi dell’emiciclo. E’ il 9 febbraio del 1799 quando i patrioti napoletani issano al centro della piazza il loro albero della Libertà distruggendo e riducendo in frantumi il modello dedicato al re napoletano. Tornato a Napoli Ferdinando, figlio di Carlo III, ordina che per distruzione di quella statua vengano condannati a morte Gaetano de Marco e Filippo Marino insieme ad altri quattro indiziati: Nicola Fasuno, Nicola Fiani, Michele Marino e Antonio Avella.

I loro cadaveri restano giorni e giorni esposti al pubblico scherno in piazza Mercato ma non solo. Il popolo napoletano, secondo il racconto di alcuni testimoni oculari, avrebbe sbranato alcuni loro organi dopo averli ovviamente cotti a puntino. Inoltre chi si fosse rifiutato di partecipare al banchetto, sarebbe stato, a quanto si narra, ammazzato. Nell’800 piazza Dante muta ma certe ferite continuano, ancora oggi, a sanguinare.