Per quanti morti le guerre hanno sempre saputo produrre, il numero dei feriti è stato sempre di gran lunga più alto. Fino alla nascita della Croce Rossa, quell’immenso stuolo di feriti disseminati sui campi di battaglia si trasformava in un cimitero a cielo aperto, perchè i soldati non più in grado di combattere venivano lasciati lì a morire, o diventavano vittime di crudeltà e ritorsioni da parte dei vincitori. Se tutto questo ebbe una fine, fu grazie a Ferdinando Palasciano.
Un uomo solo, a fronte di guerre dietro le quali c’erano interi Stati armati? Si, un uomo solo combatteva contro convenzioni animalesche come “il coltello della misericordia”, che serviva a togliere la vita ai feriti in un atto di estrema “pietas”, o contro i tradizionali atti di sciacallaggio, coi quali i vincitori uccidevano i feriti nemici anche solo per sottrarre loro una scarpa, o contro il cinismo di capitani che ordinavano con indifferenza di “uccidere i feriti superstiti”.
L’arma con cui Ferdinando Palasciano si oppose a questa barbarie, fu l’esempio. Il suo interesse per lo studio si manifestò sin da tenera età, quando era iscritto al Seminario di Capua. Nel corso degli anni le sue attitudini furono confermate: Ferdinando, ancora venticinquenne, era già in possesso di tre lauree, conseguite nelle Facoltà di Veterinaria, Belle Lettere e Filosofia, e Medicina e Chirurgia.
Seguì l’arruolamento. Le sue competenze mediche servirono all’esercito borbonico almeno quanto l’esercito servì ad arricchirle. Sul campo ebbe modo di perfezionare le tecniche chirurgiche legate alle ferite traumatiche, in special modo procurate da arma da fuoco. E, tra un’operazione e l’altra, trovò anche il tempo di scrivere un libro: “Guida medica del soldato”, pubblicato nel 1846, nel quale approfondiva le tematiche dell’igiene nelle fila militari.
L’evento svolta della sua vita avvenne in quegli anni. Era il 1848: come ufficiale medico, il Palasciano venne inviato a Messina, per curare i feriti tra le fila borboniche, nella guerra tra chi voleva il meridione nella nuova Italia, e chi voleva il meridione in mano ai Borboni. Nonostante l’esplicito divieto da parte del generale Filangieri di occuparsi dei feriti nemici, Palasciano contravvenne agli ordini, e cominciò a curare chiunque avesse bisogno di lui. Chiunque.
A giochi fatti, il generale Filangieri non dimenticò l’insubordinazione del medico di Capua, e lo trascinò nel Tribunale di Guerra, chiedendone la testa tramite pena capitale, per un’accusa che citiamo letteralmente, perchè si fa fatica a ritenerla seria. Filangieri voleva Palasciano morto perchè, letteralmente, “si fece spontaneo custode della vita dei feriti delle fila nemiche”. Suona come la motivazione per un Nobel.
La difesa di Ferdinando Palasciano suona invece come il manifesto programmatico della Croce Rossa. Per la prima volta viene argomentato il concetto per cui la vita dei feriti di guerra è sacra, perchè essi vanno considerati neutrali rispetto al conflitto, non essendo in grado di incidere né per l’una né per l’altra parte in guerra. E nella stessa arringa, il carattere dell’uomo Ferdinando: “La mia missione di medico è troppo più sacra del dovere del soldato”.
Ovviamente, in questo processo farsa, ebbe la meglio lo spessore umano e professionale dell’Ufficiale Medico Ferdinando Palasciano. Nient’affatto. Palasciano fu condannato a morte, nonostante tutto. Ma intervenne a pochi giorni dalla data prevista per l’esecuzione capitale il Re in persona, il quale commutò la pena in un più morbido anno di reclusione, facendo per giunta dell’ironia sulla statura del minuto medico di Capua: “Che male volete che egli faccia; chillo è così piccirillo!”.
Una volta scarcerato proseguì instancabilmente la sua attività di medico. Assistette alla caduta di ciò che rimaneva dei gloriosi Borboni, e da allora poté esprimere liberamente le proprie idee riguardo i feriti di guerra. In uno storico intervento al Congresso Internazionale dell’Accademia Pontaniana del 1861, ancora una volta lanciò un macigno ideologico che difficilmente poteva essere ignorato. Ad ascoltarlo, però, questa volta non c’era un tribunale:
“Bisognerebbe che tutte le potenze belligeranti, nella Dichiarazione di Guerra, riconoscessero reciprocamente il principio di neutralità dei combattenti feriti per tutto il tempo della loro cura e che adottassero rispettivamente quello dell’aumento illimitato del personale sanitario durante tutto il tempo della guerra “. L’eco della sua voce raggiunse ogni angolo di Europa, ed incise profondamente sulla Convenzione di Ginevra, tre anni più tardi.
In nulla queste affermazioni differivano da ciò che oggi la Croce Rossa fa ogni giorno nei teatri di guerra più drammatici. Eppure, al momento di inviare due rappresentati dell’Italia, in occasione dell’assemblea costitutiva della Croce Rossa, il nostro mirabile governo pensò bene di dimenticarsi Palasciano, colui il quale, rischiando la vita, per primo aprì il dibattito sull’argomento, spianando una strada che la storia dimostrò essere quella giusta.
Una curiosità. Chi perchè l’ha studiato a scuola, chi perchè ha imparato una filastrocca sull’argomento, un po’ tutti sappiamo della ferita alla gamba di Garibaldi. Ebbene, se non fosse intervenuto Palasciano, probabilmente Garibaldi non sarebbe stato in grado di condurre i suoi Mille ad alcuna vittoria. Fosse stato per i medici di Garibaldi, quella pallottola poteva comodamente fargli marcire la leggendaria gamba.