Il regista e attore Mimmo Calopresti ha sempre evocato il suo profondo amore per la città di Napoli, nonostante le sue origini calabresi. Dopo il suo esordio cinematografico nel 1995 con ‘La seconda volta’ ha partorito una serie di capolavori, tra cui per ultimo il documentario ‘La fabbrica fantasma’ che racconta il mondo della contraffazione attraverso un viaggio che parte da Napoli e arriva al confine tra Ungheria e Ucraina.
Siamo partiti proprio da Napoli e dalla sua rappresentazione nell’intervista esclusiva che il regista Mimmo Calopresti ha rilasciato a Voce di Napoli.

Da sempre ha affermato il suo amore per la città di Napoli, esprimendo grande entusiasmo, ma cosa la ispira maggiormente?
“Mi piace molto lavorare a Napoli, sono sempre accolto benissimo. C’è un affetto incredibile per le persone che lavorano nel mondo del cinema, nel teatro, ovunque, è molto forte nei miei confronti e io ricambio. Una città in cui mi trovo bene, io sono calabrese ma vivo a Roma, ho lavorato al Nord ma Napoli è come se fosse la mia capitale. Napoli è veramente la capitale del Sud. Mi sento a mio agio per fare i miei lavori quindi è un rapporto reciproco”.
Cosa ne pensa del ‘sentire collettivo’ di questa città? Come si vive a Napoli per un non-napoletano?
“Trovo Napoli una città molto interessante e bella da vivere, lavorandoci ho capito quest’idea di una città che cresce uno sopra l’altro, continua ad esistere tutto, qualunque ceto sociale, qualunque modo di stare. A Napoli riesce a convivere tutto, c’è questa possibilità delle persone di stare insieme, lavorare insieme, frequentarsi, avere dei momenti collettivi in cui ci sono tutti: borghesi, disgraziati, poveri, ricchi. C’è una fratellanza, di provenienza storica che deriva proprio dal modo di essere della città. C’è vicinanza, ci sono rapporti ben organizzati e questo vuol dire vivere bene, c’è solidarietà, si sta insieme. Un sentimento che mi piace molto questa curiosità degli uni verso gli altri”.
Gomorra è diventato un vero fenomeno culturale, ha dichiarato di avere in mente una produzione dedicata ai ‘Figli di Gomorra’, quali storie vuole raccontare?
“Sto pensando sempre di fare un lavoro che racconti Napoli, già quando ho fatto ‘La fabbrica fantasma’ ho realizzato un breve excursus sulla contraffazione, mi sono fatto guidare dentro la città dai ragazzi, dentro i quartieri. Gomorra è un collettivo, un luogo dove questi ragazzi evolvono perché raccontando la loro storia, la sublimano, leggono, incontrano i registi, la produzione. Quello di Gomorra è uno ‘stereotipo’ molto intelligente, come comunicazione, è quasi fumettistica va al di là dello stereotipo, come le persone rappresentano il camorrista ma riesce a sfruttare il livello realista pur raccontando la verità senza cadere. Entra nella città, è un dialogo tra quel modo di essere e il resto di Napoli, coinvolge i ragazzi, gli attori hanno una grande umanità. È un lavoro positivo perché ha creato un rapporto tra la città e la sua rappresentazione, certo drammatica, complicata e difficile ma altrimenti non si farebbe cinema”.
Ci sono progetti napoletani in cantiere?
“Mi piacerebbe continuare a raccontare Napoli, il mondo è cambiato ma io quando vengo trovo una città ricca, di tanto: forza, cultura, cibo, immagini, comunicazione. Quasi troppo alcune volte se si pensa alla miseria di certi posti, la città parla da sola con la sua umanità e la sua storia, Napoli deve essere raccontata. Mi piacerebbe raccontare l’arte di Napoli, vorrei fare un lavoro su Lucio Amelio grande gallerista ma bisogna continuare a raccontarla sempre. Napoli ha una caratteristica, qualunque cosa faccia diventa internazionale, tutti guardano Napoli e la riconoscono, vorrei arrivare a fare un intero film a Napoli, non sono napoletano ma vorrei provarci”.
Quale immagine cinematografica le percorre immediatamente la mente se le dico Napoli?
“Sono molto affezionato a De Sica, ‘L’oro di Napoli’ è una delle cose più geniali che siano mai state concepite al cinema, De Sica non era napoletano ma ha saputo mettere in scena un rapporto con la città assolutamente straordinario. Lui principesco sta in mezzo ai disgraziati mi fa venire in mente come De Sica abbia capito tutto, ha saputo mettere in scena l’essenza: un luogo dove le persone sanno stare insieme. Anche Totò ha rappresentato questo, l’alto e il basso che comunicano, lo hanno fatto tutti i grandi come Troisi. È molto bello questo modo di essere di Napoli”.
