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A uccidere Genny fu una stesa dei Lo Russo. Colangelo: “Nemmeno i suoi amici ci hanno aiutato”

“Neanche gli amici di Genny, quelli che erano in piazza con lui, hanno dato una mano nelle indagini”. E’ l’amaro commento di Giovanni Colangelo, procuratore della Repubblica di Napoli durante la conferenza stampa relativa agli arresti dei killer che il 6 settembre del 2015, alle 4 del mattino, furono protagonisti delle ‘stesa’ in piazza San Vincenzo nel Rione Sanità costata la vita al 17enne Gennaro Cesarano.

Morte Genny Cesarano, polizia ferma i responsabili

I KILLER – L’operazione è stata eseguita dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli, guidata dal primo dirigente Fausto Lamparelli, al termine delle indagini coordinata della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea. Decisive le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carlo Lo Russo, reggente fino a pochi mesi dell’omonimo che ha la sua roccaforte a Miano e in guerra per il controllo degli affari illeciti con gli Esposito-Genidoni del Rione Sanità. Arrestati quattro affiliati dei Capitoni: si tratta di Antonio Buono, Luigi Cutarelli, Ciro Perfetto e Mariano Torre, tutti già detenuti per altri fatti di sangue. Del gruppo di fuoco – rileva la Procura – faceva parte anche un altro giovane: Vincenzo Di Napoli, 25 anni, ucciso nel dicembre del 2015 a Miano.  Per Mariano Torre e Luigi Cutarelli lo scorso 9 dicembre è stata chiesta dalla DDA partenopea la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Pasquale Izzi, il detenuto in permesso premio ucciso il 29 marzo del 2015 a pochi passi dalla casa del boss Carlo Lo Russo. Agli indagati oltre al reato di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione e della finalità di agevolazione camorristica, è contestato anche il danno di tentato omicidio plurimo nei confronti degli altri ragazzi presenti in piazza con Genny, oltre che  i reati di porto e detenzione di diverse armi da fuoco.

Morte Genny Cesarano, il boss pentito: “Fu ucciso dai miei uomini”

24 PROIETTILI ESPLOSI – La stesa venne organizzata dai Lo Russo in risposta a quella commessa dagli uomini legati al clan Esposito-Genidoni del Rione Sanità nel territorio di Miano, non molto distante dall’abitazione del boss di via Janfolla. Quella notte in piazza c’era un gruppetto di ragazzini che – così come sottolineato da Colangelo – “rivendicavano il proprio diritto a stare insieme, in strada, nel loro quartiere”. Il commando, che era alla ricerca degli uomini che facevano capo al boss Pierino Esposito (ucciso nel novembre del 2015), entrò in azione a bordo di tre scooter esplodendo ben 24 colpi d’arma da fuoco partiti da tre pistole di diverso calibro (9×21, 7×65 e 356), uno dei quali ha ucciso Genny. Un’azione di fuoco che avrebbe potuto provocare altre vittime. “Gli amici – sottolinea Colangelo – sono riusciti a salvarsi perché hanno trovato riparo dietro auto e moto presenti nella zona”.

OMERTA’ ASSOLUTA – Le indagini condotte dai poliziotti della Squadra Mobile di Napoli, con il supporto del Commissariato locale, sono andate avanti senza nessun tipo di collaborazione da parte dei residenti della zona. Nemmeno gli amici che quella notte erano in piazza con Genny si sono fatti avanti. Anzi. I ragazzi che sono scampati all’agguato non si sono ma presentati spontaneamente dalle forze dell’ordine e, una volta identificati, hanno reso dichiarazioni rivelatesi poi reticenti. L’omicidio è stato ricostruito grazie alle dichiarazioni di Carlo Lo Russo che hanno trovato plurimi riscontri in quelle di Rosario De Stafano (già detenuto per aver partecipato all’omicidio di Pierino Esposito), negli accertamenti della polizia Scientifica e nelle risultanze delle attività di intercettazione, sia telefoniche che ambientali (c’era una cimice piazzata proprio in casa di Lo Russo).

IL RAMMARICO DI MAGISTRATI E POLIZIA – “Sono quasi arrivato alla fine del mio mandato qui a Napoli – spiega il procuratore Colangelo – e devo dire che sono fiero di come abbiamo lavorato, in sinergia con le forze di polizia, in questi anni. La risposta di questa parte dello Stato c’è sempre stata. La tempestività e l’immediatezza delle indagini ne è una prova evidente. Il nostro obiettivo è quello di raccogliere prove che reggano nel processo. Noi – conclude Colangelo – non chiediamo atti di eroismo ma atti di quotidiana legalità“.