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La Festa di Sant’Antuono tra falò, “battuglie, bottari, e pastellesse”

A Macerata Campania, ogni 17 gennaio si celebra Sant’Antonio Abate con una festa (la Festa di Sant’Antuono), in grado di attirare grandissime folle. I festeggiamenti non si limitano in realtà ad un solo giorno, ma cominciano dal week-end precedente al 17. Come spesso accade, alla dedizione verso il Santo si unisce tutto un background di riti, tradizioni, credenze, usanze e superstizioni molto pagane, che a Macerata Campania portano il nome di “Battuglie, Bottari, Pastellesse“.

Chi non ha mai sentito parlare di questa festa, necessita di un minimo di spiegazione per comprendere termini che in italiano non trovano corrispettivi. Le Battuglie di Pastellesa sono dei carri che sfilano per la città, altrimenti detti Carri di Sant’Antuono. I Bottari sono dei musicisti che, posizionati a gruppi su questi carri, percuotono botti e tini con attrezzi agricoli di ogni tipo, fino ad ottenerne una musica particolare, detta Pastellessa.

La sfilata dei carri non è l’unico momento folkloristico della Festa di Sant’Antuono, ma certamente rappresenta il cardine di tutto l’evento. Carri lunghi 16 metri e larghi 3,5. il 17 mattina partono uno alla volta da Via Garibaldi, passano si fermano e salutano le associazioni organizzatrici e le autorità politiche, raggiungendo infine la piazza, dove si concentra la maggior parte dei devoti e dei turisti.

Per preparare questi carri i comitati si riuniscono mesi prima e stabiliscono tutti i dettagli dello spettacolo, dalle scenografie dei carri, alle canzoni e alle filastrocche. Solitamente si opta per ritmi tradizionali come la tarantella o la muerte, eseguiti magistralmente dai Bottari (i percussionisti sui carri che infieriscono su tini e botti), guidati da un CapoBattuglia. La Pastellessa è il prodotto musicale che ne scaturisce.

Pastellessa. Ma cosa significa? Per scoprirlo occorre tornare indietro al 13° secolo, quando a Macerata Campania l’economia si reggeva su due sole assi portanti: l’agricoltura e l’artigianato. La prima sfruttava l’abbondanza di spazi e campi; l’artigianato si rendeva invece indispensabile per fornire ai contadini gli strumenti necessari ad esercitare il proprio mestiere.

La vendita di questi prodotti artigianali avveniva soprattutto in coincidenza delle fiere cittadine. Gli artigiani erano soliti attirare l’attenzione dei passanti percuotendo selvaggiamente prodotti in legno con prodotti in metallo, in modo da dimostrarne la resistenza. Nel tempo, da ritmi indistinti si cominciò a passare a ritmi organizzati. Cominciava a nascere la cosiddetta Pastellessa.

Ma si dice anche che gli anziani percuotessero oggetti di grandi dimensioni per spaventare ed allontanare gli spiriti maligni dagli anfratti delle cantine. Se poi la stessa procedura veniva ripetuta alla luce del sole, finiva per trasformarsi in uno dei numerosissimi riti propiziatori per il raccolto, di cui è infarcito il passato contadino di tutt’Italia.

Documento storici di questo fermento popolare in occasione della Festa di Sant’Antuono sono stati ritrovati nel catasto onciario di Macerata, dove a partire dal 1790 circa si parla di cifre previste per l’organizzazione della festa, e dei mestieri implicati nell’allestimento delle Battuglie (i carri). In un documento ancora più antico, Carlo di Borbone autorizzava un parroco a reperire fondi per la Festa di “S. Antuono Abbate”.

Fin qui il contesto. Ma resta da scoprire l’origine del termine Pantellessa. Uno dei capibattuglia più prestigiosi di tutti i tempi, in grado di produrre ritmi e suoni spettacolari, si chiamava Antonio Di Matteo, e visse a cavallo tra il 1800 ed il 1900. Era solito offrire a chiunque visitasse la sua cantina, un piatto di pasta con le castagne secche, chiamato appunto Pastellessa. Da qui il suo soprannome Antonio ‘e Pastellessa.

I carri su cui suonava Antonio ‘e Pastellessa diventavano talmente rinomati, che si cominciò ad abbinare sempre più spesso la tradizione stessa al nome di Antonio ‘e Pastellessa, fino a chiamare Pastellessa l’intero campionario di musiche prodotte con strumenti “non convenzionali” adottati dalle Battuglie nel corso delle sfilate dei carri.

Una canzone risuona spesso durante la Festa di Sant’Antuono. Una canzone tradizionale molto antica (datata inizio 1900), che cita esplicitamente Antonio Di Matteo (Pastellessa), e Pasquale Ventriglia, un altro bottaro famoso detto “Pascale ‘a Vorpe”, vissuto anch’egli a cavallo tra gli ultimi due secoli dello scorso millennio. Altra testimonianza storica di un passato che sembra sapersi conservare intatto fino ad oggi.

Ma la Festa di Sant’Antuono non è solo Battuglie e Pastellesse. Ci sono altre tradizioni che ogni 17 Gennaio ritrovano lo stesso smalto e lo stesso entusiasmo di secoli addietro. Una di queste prevede che dopo la funzione serale del 16, i fedeli accendano dei fuochi su ceppi precedentemente predisposti (Cippi di Sant’Antuono). Si passa poi ai giochi antichi del tiro alla fune, e del palo di sapone, conditi da immancabili piatti di pasta con le castagne e bicchieri di vino del posto.

Il giorno successivo, dopo la sfilata dei carri di Sant’Antuono, nella piazza di Macerata Campania si assiste ad uno spettacolo unico: i fuochi pirotecnici figurati. Non si tratta di semplici fuochi d’artificio, ma di personaggi in cartapesta che simboleggiano le forze del male incontrate da Sant’Antonio sul suo percorso. Nel fuoco queste sinistre statue fragili trovano purificazione. Si tratta del Maiale, della Donna, dell’Asino e della Scala.

L’evento si conclude con la riffa, una sorta di asta nella quale vengono venduti i doni votivi accumulati durante la manifestazione, e che fondamentalmente serve a rientrare dalle spese per l’organizzazione e per accumulare fondi per i prossimi allestimenti. Non sono in pochi ad offrire cifre notevoli, per testimoniare al Santo la propria devozione, anche se gli oggetti venduti sono solitamente di scarsi valore.