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La casa di Maria Stendardo: il covo della prostituzione e della malavita napoletana

La criminalità organizzata napoletana aveva una ‘casa’, si tratta del postribolo di Maria Stendardo in via Guantai Vecchi n. 6. Qui prendeva vita la vera ‘succursale della camorra’, i boss si riunivano e davano vita alle loro malefatte, i camorristi erano di casa in quelle mura. Proprio lì furono progettati molti crimini spietati, del clan facevano parte Nicola Morra, Andrea Attanasio ‘Ndriuccio’, Raffaele Maiorino, Carmine De Vivo, Pasquale Gargiulo e moltissimi altri che furono poi tutti coinvolti nel famoso processo Cuocolo. Questo, svoltosi tra il 1911 e il 1912 ebbe una vasta risonanza medica e portò a pesanti condanne, si tratta del primo grande processo ai danni della camorra.

Uno dei frequentatori assidui della casa della Stendardo era un giovane palermitano, Guzzi, rimasto folgorato dalla bellezza di una delle donne che vivevano in via Guantai, Benedetta Lombardi, non perdeva occasione per farvi visita. La Lombardi, affittuaria di una camera nell’appartamento per mano del suo amante già sposato, era poi divenuta una delle parti più importanti dell’attività, avendo intrapreso per necessità un percorso dal guadagno facile. Nicola Morra e la Stendardo, comprendendo l’ingenuità del ragazzo e la possibilità di trarne guadagno, decisero di invitarlo a fare affari con loro, consapevoli che lo stesso Guzzi aveva ereditato una fortuna dallo zio lo trainarono a poco a poco dalla loro parte. Il patto si fece e Guzzi chiese come impegno che la giovane di cui era innamorato fosse solo sua, l’uomo ammogliato venne allontanato definitivamente dalla Lombardi. Guzzi molto presto si ritrovò senza un soldi al punto che Benedetta, già non particolarmente attratta dall’uomo, l’abbandonò per un ingegnere molto ricco che le propose di andare in America.

L’ingegnere andò a vivere con la giovane napoletana e la camorra allora intervenne per farlo desistere, spinto dall’insistenza di Guzzi che non si perse mai d’animo. Allora l’ingegnere decise di chiudere la relazione, scappò in piena notte lasciandole un biglietto per Napoli e cinque mila lire. La donna fece ritorno nella sua città ma, una volta giunta, capì il tranello della camorra e non volle sapere ragioni di tornare tra le braccia di Guzzi che, nuovamente disperato, si recò da Maiorino, Morra e zi Cabuottolo per raccontare la sventura e chiedere aiuto. Questi, in fede della somma di denaro versata dallo stesso ragazzo palermitano, promisero una presta risoluzione. Zi Cavuottolo disse alla ragazza che l’avrebbe fatta sfregiare, a meno che ella non avesse versato cento mila lire, ignaro della somma posseduta dalla stessa Benedetta. Lei prese tempo e poi rifiutò la proposta, la camorra allora non esitò a punire lei e il marito adultero che l’accompagnava. Alla fine Guzzi trovò diletto in altre donne, contraendo un brutto male che lo costrinse a letto e la criminalità organizzata napoletana continuò ad indugiare e fare affari loschi nella casa di Maria Stendardo.

Fonte: Storie di grandi camorristi e la prostituzione – Edoardo di Majo, 1984