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Fabio Cannavaro, la storia di uno scugnizzo che ha vinto il Pallone d’Oro

Il futuro di Fabio Cannavaro era già scritto nelle stelle… Quando mamma Gegè partorisce Fabio, nel settembre 1973, papà Pasquale gioca ancora con il Banco di Roma in terza serie. Smette però presto, i figli sono la priorità, ma non ha fatto i conti con la passione che ha trasmesso ai figli per il pallone.

Teme che il gioco più bello del mondo possa diventare per il primogenito una distrazione dalla scuola. E lo limita. Ma il ragazzo non mollala mattina va a scuola e al pomeriggio agli allenamenti di Soccavo. Angelo Sormani, tecnico delle giovanili, lo segnala a Bianchi che comincia a inserirlo in prima squadra. I sacrifici ed il talento lo premiano, arriva il giorno del debutto in A in un Juve-Napoli 4-3 del 7 marzo ’93, accanto al suo idolo di sempre Ciro Ferrara.

Nell’estate dello stesso anno Fabio però torna nelle giovanili e il club, in gravi difficoltà economiche e gestionali subisce un ridimensionamento. Partono anche Careca e Zola. E l’Acireale, club neopromosso in serie B, chiede in prestito il difensore, ma arriva il no secco del nuovo tecnico, Marcello Lippi, il quale stravede per lo scugnizzo napoletano e lo lancia titolare appena ventenne. È l’ 8 settembre, c’è un turno infrasettimanale contro il Torino al San Paolo: per marcare Benny Carbone servono l’agilità e l’anticipo di quel ragazzo della Primavera. È nato un campione.

E difatti quel Napoli,con la coppia inedita di difensori Ferrara-Cannavaro, sarà la sorpresa del campionato, arriverà sesto e si qualificherà per l’Uefa. Ma il destino di Fabio è altrove: la crisi societaria del ’95 ha purtroppo un solo esito, la sua cessione al Parma. Addio colori azzurri, addio stadio San Paolo.

Ma grandi soddisfazioni lo attendono, nel ’97 è già nella Nazionale con Maldini c.t. Il suo esordio con la maglia da titolare è a Wembley : una vittoria storica con gol di Zola negli annali del calcio e nel reparto arretrato lui e Ferrara che arginano le magie di Shearer, centravanti in auge.

Nell’anno di grazia 2006, dopo aver vinto la Coppa del Mondo ai Mondiali in Germania, Fabio si tatua una frase che è un po’ la sua filosofia di vita: “Non abbiate paura di avere coraggio”. E nella piena maturità dimostra di essere non solo un campione sul campo ma anche nella vita un grande uomo, ammette di aver sbagliato. Come per il video girato nel ’99 a Mosca, alla vigilia di una finale di Coppa Uefa, unico trofeo internazionale di club. Riprende se stesso e i suoi compagni del Parma che si sottopongono a flebo prima della gara.  Alla Rosea confesserà: “Non era nulla di illecito, ma non lo rifarei mai, per il brutto esempio che ha dato ai più giovani”.

E che sia Fabio, un napoletano che si è fatto strada, il simbolo di quell’Italia vincente lo dimostrano i mesi successivi, quando gli viene consegnato il Pallone d’oro e il Fifa World Player. Il primo, da difensore, lo hanno vinto prima di lui solo i tedeschi Beckenbauer e Sammer, ma la grande soddisfazione è il secondo trofeo.  Ad oggi rimane l’unico difensore nella storia premiato con il voto di tecnici e colleghi.