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Sangue, droga e omicidi: il legame dei Marfella-De Luca Bossa tra Pianura e Ponticelli

Il fratellestro lo avrà conosciuto solo quando era piccolo e aveva appena 5 anni. Poi è cresciuto nel suo “mito”, ascoltando quello che gli raccontavano gli altri, provando a imitarlo e a seguire le sue gesta criminali.

In altro da sinistra: Giuseppe Marfella e i figli Salvatore, Mario e Christian. In basso da sinistra: Teresa De Luca Bossa, Umberto De Luca Bossa, Antonio De Luca Bossa e Anna De Luca Bossa.

Tanto è bastato per farsi tatuare sulla pelle il suo soprannome (Tonino ‘o sicco) alla base della gola. Christian Marfella, 22 anni, in carcere dal 2013 con l’accusa di associazione di tipo mafioso, omicidio e droga, è la figura che forse spiega meglio il legame, e lo spessore criminale, della famiglia Marfella-De Luca Bossa.

Storie diverse. I primi nativi e operativi da sempre a Piamura, quartiere occidentale di Napoli. I secondi originari di Ponticelli, zona orientale della città, con roccaforte nel Lotto O. A sigillare il legame di sangue l’amore tra Giuseppe Marfella, 52 anni, e Teresa De Luca Bossa, 65 anni, entrambi in carcere da anni. Una relazione prima abusiva, poi ufficializzata negli anni, che ha legato due famiglie con l’ulteriore nascita proprio di Christian. Due famiglie che oggi, però, sono relegate in carcere.

Gli ultimi arresti li ha eseguiti nei giorni scorsi la Squadra Mobile di Napoli, diretta dal primo dirigente Fausto Lamparelli, nell’ambito di un’indagine sulla guerra di camorra in atto a Pianura tra il clan Pesce-Marfella e i Mele. Tra le 27 ordinanze di custodia cautelare in carcere ci sono esponenti di entrambe le famiglie, alcuni dei quali in galera da anni.

Da una parte Giuseppe Marfella e i tre figli, Mario, 28 anni, Salvatore 25 anni e, appunto, Christian. Dall’altra c’è quel Antonio De Luca Bossa, alias Tonino ‘o sicco, 46 anni, in carcere da oltre 10 anni (dopo un periodo trascorso in una clinica psichiatrica) per via di una condanna definitiva all’ergastolo per l’autobomba di via Argine del 25 aprile del 1998 (in cui morì Luigi Amitrano, il nipote del boss Vincenzo Sarno, vero obiettivo dell’attentato) che segnò la rottura tra la famiglia di ‘o sindaco di Ponticelli e il suo killer di fiducia.

Da allora Antonio ‘o sicco non è più uscito dal carcere. Avrà forse ricevuto qualche visita del fratellastro Christian prima dell’arresto anche di quest’ultimo. Ma intanto continuava a prendere la somma di 400 euro al mese che i due clan gli garantivano. Christian era l’unico dei tre fratelli Marfella (Mario e Salvatore avevano i loro “affari” a Pianura) che aveva deciso di vivere a Ponticelli e di difendere l’onore della famiglia alleandosi con i D’Amico, detti Fraulella, contro il clan dei tatuaggi, i De Micco (soprannominati Bodo).

Una lunga scia di sangue quella avvenuta negli scorsi anni nella faida tra i D’Amico e i De Micco, che ha visto i De Luca Bossa continuare a mantenere la propria egemonia nel Lotto O di Ponticelli. Questo prima degli arresti, avvenuti negli ultimi mesi, di Anna De Luca Bossa, 38 anni, sorella di Tonino ‘o sicco, scampata a un agguato nel 2014, e di Umberto De Luca Bossa, 23 anni, figlio di Tonino e gestore di quel circolo ricreativo dove nel giugno del 2016 aveva trovato rifugio Raffaele Cepparulo, uno degli elementi di spicco dei ‘Barbudos’ del Rione Sanità, facenti parte del clan Esposito-Genidoni. In quel circolo ha perso la vita anche un innocente: Ciro Colonna, 19 anni, finito nella traiettoria dei proiettili esplosi dai killer.

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