L’ha uccisa a colpi d’arma da fuoco, poi si è nascosto e si è tolto la vita impiccandosi. Questa è stata la fine di Antonino Sciuto, il killer della giovanissima Vanessa Zappalà. L’ennesimo femminicidio, causato dalla gelosia e dalla possessività. L’assassino non aveva accettato la fine della loro storia. Un rapporto fatto di violenza e continui litigi. Siamo ad Aci Trezza, nel cuore della Sicilia. Ora ci sono due genitori che piangono la scomparsa della figlia 26enne.
Sciuto aveva ricevuto diverse sanzioni per stalking. Eppure era stato accolto nella famiglia Zappalà. Era iniziata una convivenza diventata poi un incubo. Sciuto probabilmente soffriva di problemi psichici: pare credesse di essere un agente segreto con il dovere di spiare le vite degli altri. Il papà di Vanessa ha sfogato tutto il suo dolore in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.
“Quando dopo botte e parolacce mia figlia l’ha mollato, quando io gli ho tolto le chiavi di casa, ha cominciato ad appostarsi per ore sotto le finestre o davanti al panificio dove Vanessa lavorava. Dopo la frattura di dicembre, dopo un inverno passato da Vanessa prigioniera in casa per paura di incontrarlo, dopo mille minacce, abbiamo dovuto mettere nero su bianco. Perché abbiamo scoperto che con un duplicato delle chiavi la sera si intrufolava nel sottotetto di casa mia, una sorta di ripostiglio, e dalla canna del camino ascoltava le nostre chiacchiere.
Trovano un pazzo di catena che spia dal camino o con i Gps, un violento che picchiava la ragazza, sempre coperta da foulard e mascariata di fard, e che fanno? Dopo una notte in caserma, il 7 giugno, un martedì, e una di interrogatorio, arriva il giudice e lo manda a casa con gli “arresti domiciliari”. Inutili. Perché tre giorni dopo, il sabato, era il 13 giugno, ce lo ritroviamo tra i piedi, ma con un provvedimento altrettanto inutile: l’obbligo di non avvicinarsi a mia figlia per 200 metri. È questa l’Italia che vogliamo? Davvero pensano che da 200 metri non si possa fare male? Oppure che un pazzo come questo non possa armarsi e sparare da tre metri? Se lo consideravano malato dovevano rinchiuderlo in una comunità e curarlo. Non lasciarlo praticamente libero di fare tutto“.
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