Carcere duro per Marco Di Lauro a due settimane dalla sua cattura in un’anonima abitazione di Chiaiano. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno Matteo Salvini, ieri a Napoli per il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Al quarto dei 10 figli del super boss Paolo Di Lauro è stato notificato intorno alle 19 il provvedimento del 41 bis nel carcere di massima sicurezza di Sassari, dove è arrivato lo scorso 12 marzo.
PROCESSI – Marco Di Lauro, al momento, ha una condanna definitiva a 11 anni e 2 mesi di reclusione per associazione mafiosa. Ha un altro processo in corso per traffico di stupefacenti mentre quello relativo all’omicidio dell’innocente Attilio Romanò, che vide “F4” condannato all’ergastolo in Appello, è stato annullato in Cassazione perché non vi erano riscontri precisi nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
GLI AMICI DEL “FANTASMA” – Toccherà ora alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, coordinata dal procuratore Giovanni Melillo e dall’aggiunto Giuseppe Borrelli, dimostrare l’eventuale coinvolgimento in qualità di mandante di “Marchetiello” o “Luca”, così come si faceva chiamare durante la latitanza, nell’omicidio di Romanò. Le indagini procedono serrate e l’attenzione è concentrata sul gruppo, certamente non esiguo, di fiancheggiatori che hanno permesso all’oramai ex “fantasma” di Secondigliano e Scampia di darsi alla macchia per oltre 14 anni.
Un lavoro “per rintracciare i finanziamenti e gli appoggi alla latitanza di Di Lauro”, così come sottolineato dallo stesso Salvini nella conferenza stampa tenuta in Prefettura. “La camorra, la ‘ndrangheta, la mafia sanno che al governo ci sono dei nemici disposti a tutto pur di portargli via l’ultimo paio di mutande. Siamo in battaglia e in un percorso che vive un momento felice” ha ribadito il ministro dell’Interno.
COMPLIMENTI ISTITUZIONALI – Lo stesso si è poi complimentato con il Questore Antonio de Iesu, con il Comandante Provinciale dei Carabinieri, il colonnello Ubaldo del Monaco, e con il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza , il generale Gianluigi D’Alfonso, per la cattura del secondo latitante più pericoloso d’Italia dopo Matteo Messina Denaro.
NESSUN INCONTRO CON LE CATTURANDI – Salvini non ha però incontrato gli uomini delle squadre Catturandi di polizia e carabinieri che hanno lavorato giorno e notte per arrivare a rintracciare Marco Di Lauro. Stiamo parlando di una ventina di agenti e militari “speciali” che grazie al loro duro lavoro hanno messo a segno un importante colpo per lo Stato. Troppo poco tempo a disposizione nella sua visita in città. Salvini ha preferito fare un salto nel suo “quartiere modello”, il Vasto, dove ha intrapreso da mesi una battaglia contro l’elevato numero di migranti presenti.
LA STRATEGIA DEL “FANTASMA” – Difeso dagli avvocati Carlo e Gennaro Pecoraro, Marco Di Lauro ha fatto scena muta nei due interrogatori di garanzia andati in scena la scorsa settimana davanti ai gip Pietro Carola e Marco Carbone. L’ex primula rossa si è avvalso della facoltà di non rispondere. E’ apparso spaesato, sorpreso, come se 14 anni di latitanza fossero poca roba e lui una persona qualsiasi e non il figlio di uno dei boss più potenti degli ultimi 30 anni.
Meravigliato dall’eccessivo clamore che si è creato intorno alla sua figura in tutti questi anni. Di Lauro è sembrato cadere dalle nuvole quando gli sono state, finalmente, notificate vecchie misure cautelari che lo vedono indagato come capo e promotore del clan di Secondigliano.
“Sono sempre rimasto a Napoli, non sono mai andato all’esterno in questi 14 anni”. Parole di sfida, che i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia proveranno a smentire. Sul ruolo del quarto figlio di Paolo Di Lauro ci sono numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia affiliati a clan diversi, e non solo dell’area a nord di Napoli.
La strategia di Marco Di Lauro è chiara: vuole allontanare i riflettori dei media, vuole mantenere un profilo basso, forte dell’unica condanna passata in giudicato a 11 anni e 2 mesi di carcere per 416 bis (associazione di stampo mafioso). Vuole continuare a vivere nell’ombra, anche in carcere. Un po’ come sta facendo suo padre Paolo, detenuto dal 2005 e seguito da un avvocato d’ufficio per non far trapelare nulla sul suo conto. Prende tempo, fiducioso in una giustizia lenta e ricca di contraddizioni. D’altronde uno che è stato catturato dopo 14 anni di latitanza ha imparato a giocare con le lunghe attese.
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