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“Napoli Velata”, troppe aspettative per un film superato dal suo dibattito

La mia è l’opinione di un semplice spettatore, sono un amante del cinema ma non un critico o un esperto. Napoli velata è un bel film ma non un capolavoro. La fotografia è elegante ma non imponente. Le interpretazioni sono ottime ma il ritmo è a tratti lento ed angosciante. Il finale mi ha lasciato con un punto interrogativo grande così che non rappresenta il solito “si capisce e non si capisce“, ma una chiara intenzione di non far capire un fico secco su come il film sia finito.

Napoli? Bhe, il nome della città è nel titolo, di conseguenza è protagonista a prescindere. Ma non è certo la fotografia a renderla centrale all’interno della narrazione. Un esempio del genere è limpido ne “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino dove Roma e i suoi luoghi, anche meno conosciuti, sono davvero esaltati dal regista. In Napoli velata tranne che per qualche veduta del centro storico e di chiaia non c’è questa grande messa in mostra della città. Lo sono più gli interni dei musei o di un paio di appartamenti antichi e nobiliari davvero belli (oltre che la casa della protagonista che però è in stile moderno).

E allora dove troviamo Napoli? La troviamo nel mistero, nell’esoterismo, nella cabala. Nella tombolata dei femminielli (anche se non so in quanti oggi la facciano ancora, ho il timore che si tratti di un cliché) nei vicoli del centro e nei volti di Peppe BarraAnna BonaiutoLuisa Ranieri. Forse proprio per questo il titolo risulta più che giustificato. Tuttavia per provare a dare una risposta alla domanda che mi sono posto nel sotto titolo di questo articolo, devo andare un pò a ritroso nel tempo.

Infatti, è di appena qualche settimana fa la pubblicazione di articoli dedicati al film apparsi su un noto quotidiano. Questi contenuti erano uno a favore ed uno contro, dando vita ad un vero e proprio dibattito. Ma un pò tutta la città e la sua opinione pubblica ad aver partecipato a questa discussione. Forse, in quei giorni, non c’era di meglio da pensare, scrivere o fare. O meglio uno scopo c’era: trovare una narrazione per Napoli diversa da quella raccontata in Gomorra. Come se il film di Ozpetek fosse l’unico degli ultimi anni girato in città e con quest’ultima protagonista, come se la bella Partenope avesse bisogno di una pellicola per dimostrare che in realtà è altro e non solo camorra, stese e morti ammazzati. Come se Napoli avesse bisogno del cinema o delle pseudo rivoluzioni arancioni per affermare il suo splendore.

Certo, sarebbe interessante scoprire le sensazioni che proverebbe una persona, non nata a Napoli e che non vive in città, nel guardare questo film. Che idea si farebbe sulla storia e la realtà partenopea.

Tuttavia sono stati fiumi di parole che hanno creato un’aspettativa troppo grande. Quest’ultima, ha caricato di significati diversi il lavoro di un artista che ha comunque dimostrato di amare Napoli e di esserne stato affascinato. Ozpetek ha rappresentato una città dolce e violenta nelle sue emozioni, contraddittoria, proprio come è nella realtà. Quindi perché dedicare tutti questi “papielli” ad un film? È emerso un aspetto che io non trovo tanto rassicurante. Se il “popolo” è così visceralmente attaccato all’assioma “noi siamo napoletani, per questo siamo meglio degli altri“, certi “intellettuali” hanno dimostrato di pensarla, in scala, allo stesso modo: “Questa è la vera Napoli ed la migliore di tutte le altre“.

Infine, guardare un film fa sempre bene. Apre gli orizzonti e stimola il senso critico. Ma se un domani qualcuno mi chiedesse, “mannaggia non ho visto Napoli Velata. Come è?“, risponderei (come si dice a Napoli): “Bello, ma non ti sei perso niente“.

redazione

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