Una casualità che gli ha salvato la vita. Dalla proposta per essere testimonial, alla visita medica – di controllo alla prostata – fatta con il professore Vincenzo Mirone, primario di Urologia al Policlinico Federico II.
Da li la diagnosi precoce della neoplasia. In pratica nel giorno in cui a Patrizio Rispo era stato proposto di diventare testimonial per uno spot in favore della prevenzione contro il cancro, l’attore ha scoperto di avere un tumore alla prostata.
Allora, com’è andata?
«Ho avuto due tumori, che ho tolto proprio dieci giorni fa».
Ed è già al lavoro?
«Sì, mi sento benissimo: mi hanno dimesso la mattina dopo l’intervento».
In quale struttura è stato operato?
«All’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, che si è dotato di una nuova tecnologia non invasiva a ultrasuoni focalizzati».
Il macchinario, dal costo di un milione, permette di evitare anche la radioterapia, eliminando in un’unica seduta i tessuti cancerosi: chi l’ha informata di questa possibilità?
«Giovanni Di Lauro, il primario del reparto di Urologia, che mi segue da tempo».
Perché la diagnosi risale a sei anni fa…
«Sì, l’ho avuta quando mi chiesero di girare uno spot sulla prevenzione. E, da quel giorno, sono stato anche io sotto stretta sorveglianza».
Da testimonial a paziente, è un attimo.
«Ho eseguito i controlli ogni sei mesi».
Perché non più l’operazione?
«Ero in sala operatoria, quando andò via la corrente elettrica».
Un colpo di scena da film.
«Mi dissero di ritornare la sera, che con i generatori non avrebbero potuto procedere».
E invece…
«La corrente elettrica, quella sera, non era ancora tornata: lo interpretai come un segnale di mia madre, che non voleva mi operassi».
Si affidò alla scaramanzia e rinunciò alla chirurgia.
«Con il senno di poi, posso definirlo un miracolo. L’intervento nel 2016 sarebbe stato invasivo; con il trattamento di eccellenza, possibile grazie questa apparecchiatura, non ho avuto alcun tipo di conseguenze. Ma, sottoponendomi regolarmente agli accertamenti, non ho lasciato niente al caso».
Come ha vissuto, però, tutto questo tempo? Angosciato dal cancro?
«Ho convissuto bene con la malattia, perché temevo di più le conseguenze dell’operazione. E la mia attesa vigile ha consentito alla ricerca di fare importanti passi avanti».
Fino alla decisione di intervenire, e finalmente poter raccontarla.
«Io non faccio altro che sostenere campagne di prevenzione perché sono l’unica grande difesa dalle malattie, come dimostra quel che è successo a me. Ma la prima medicina è nella testa».
Ossia?
«Serve un atteggiamento positivo, combattivo».
Vuole lanciare un appello?
«Oggi, in un modo o nell’altro, si risolvono patologie che fino a poco tempo fa sono state motivo di terrore. Lo ripeto a tutti quelli che incontro, e li invito a fare i controlli, ad aderire agli screening».
Ne ha rivisti molti, da paziente, anche in ospedale?
«Sì, diverse persone mi hanno contattato dopo, per ringraziarmi, perché il suggerimento ha consentito loro di scoprire neoplasie e altre malattie che non immaginavano: così si sono curate».
Lei ha deciso di operarsi al Sud.
«Con convinzione. Sono anche testimonial dell’istituto tumori Pascale e del Pausilipon».
Può bastare parlare di prevenzione?
«Dal polo oncologico pediatrico gli operatori mi chiamano, quando mancano i donatori di sangue, e io faccio un video e poco dopo si fa la fila per la raccolta».
Quasi si commuove.
«Quanto serviamo, noi persone amate, a sensibilizzare su questi argomenti…».
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