Dal dolore si può uscire, a patto di non fuggirlo. Il coronavirus ha aperto gli occhi di tutti noi sul fatto che ogni nostra azione compie una traiettoria ad ampio raggio, ossia che nessun gesto è senza conseguenze. Ognuno di noi è l’inizio di qualcosa che si propaga all’infinito, perché non esiste nessuna creatura che non abbia il suo posto nell’ordine dell’universo. Infatti, la storia di Ambrogio Iacono ne è il vero esempio.
Il docente ha continuato ad insegnare direttamente dall’ospedale ai propri alunni dopo aver contratto il Covid-19. Soprannominato da tutti Gino, il professore ischitano, è stato di grande esempio, insegnando ai suoi alunni dal letto di un ospedale in tele-didattica, mentre combatteva contro il virus. Ma Iacono, che aveva ricevuto ringraziamenti ufficiali dal premier Conte ed era stato nominato Cavaliere del Lavoro dal presidente Mattarella, era e resta ancora precario. Negli scorsi giorni il professore, alla vigilia dell’inizio dell’anno scolastico, aveva contattato la segreteria dell’istituto alberghiero Telese dove insegnava sino a qualche mese fa, per sapere se fosse arrivata la nomina ad insegnante di ruolo ricevendo però, una risposta negativa.
Il suo giudizio in merito viene riportato da La Repubblica a proposito dell’accaduto:
“Deluso? Un pochino sì. Certo, la nomina potrebbe arrivare presto e lo spero vivamente. Ma per ora mi spiace non continuare a seguire gli studenti con cui avevo stretto un bellissimo rapporto. Sono loro, gli studenti, i più penalizzati dalla precarietà.Quanto a me, lo sapevo e l’ho già sottolineato: questo non è un paese per docenti. Io sono un agronomo, ma ho sempre coltivato il sogno di insegnare: ho fatto il concorso nel 2000, per molti di noi sarebbe difficile vivere di sola scuola”.
Un uomo che dà il giusto peso tanto all’esperienza di una vita ,quanto alla riflessione su questa stessa esperienza: sa che la fiducia, l’entusiamo, la solidarietà, la chiara volontà di quel che si vuole non sono sentimenti costanti. Hanno le loro eclissi, è naturale. Nonostante ciò, è lodevole la sua dedizione all’insegnamento, una vera missione in cui non lesina impegno e pazienza. La sua capacità di vivere con i ragazzi, che quotidianamente aiuta a crescere con il proprio esempio e con il proprio modo di vivere l’insegnamento, la si legge occhi negli occhi lucidi di chi, giovane, lo ha guardato steso in un letto di ospedale, ma sempre pronto ad affrontare le piccole e soprattutto, le grandi difficoltà.
Va anche detto che forse non basta essere stati a lungo precari per meritare la qualifica di insegnante “bravo”, ma anche che i tentativi finora esperiti per premiare il merito o quanto meno il merito professionale , non hanno dato alcun risultato. E tutto questo non fa bene alla scuola italiana e soprattutto va a consolidare quella becera filosofia popolare: bisogna essere fortunati nella vita e non sempre meritevoli.
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