L’improvvisa esplosione sullo Stromboli, che lo scorso 3 luglio ha scatenato il panico sull’isola e ucciso un escursionista, riapre la discussione sulla complessità delle misure di emergenza predisposte dalla Protezione civile in caso di ripresa di attività del Vesuvio o della caldera dei Campi Flegrei.
Un piano che si basa sull’evacuazione d’urgenza verso altre regioni, in appena settantadue ore, di settecentomila persone per il primo vulcano e seicentomila per il secondo. Lo studio, che accompagna la proposta che gli scienziati intendono sottoporre all’analisi del governo, dimostra che l’eventuale sgombero forzato della popolazione provocherebbe danni economici indiretti e costi di assistenza, completamente a carico dello Stato, per una spesa insostenibile di trenta miliardi l’anno.
Per questo, l’unica soluzione razionale “per la mitigazione dell’estremo rischio vulcanico è una pianificazione accurata, preventiva, della ri-sistemazione delle popolazioni delle zone rosse“. Una scelta in sintonia con la storia di Napoli: “La gestione del rischio vulcanico – spiega il professor De Natale –non deve mirare all’abbandono di questi territori“.
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