Salvatore Bonavolta
Sono stati arrestati lo scorso 15 febbraio, in seguito ad un’azione mirata dei carabinieri. I militari del Comando provinciale di Napoli hanno concretizzato un’inchiesta lampo coordinata dalla Procura. In manette sono finiti Salvatore Bonavolta, 34 anni, e Alberto Sassolino, di 37, entrambi accusati di rapimento e sequestro di persona con aggravante mafiosa.
L’episodio è accaduto tra il 6 e il 7 febbraio, quando un gruppo di uomini si è presentato sotto l’abitazione di Capua della sorella di Rosario Del Vecchio presunto debitore nei confronti di Bonavolta e Sassolino. L’importo al centro della questione è di 350mila euro. Soldi che, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbero serviti per acquistare una partita di droga per conto del clan Mazzarella.
Il commando del clan, composto anche da altre quattro persone non ancora identificate, ha rapito il cognato di Del Vecchio per portarlo a San Giovanni a Teduccio, “quartier-generale” dei Mazzarella. Ad incastrare Bonavolta e Sassolino, sarebbe stata la moglie della persona rapita, che avrebbe riconosciuto uno dei due rapinatori, facendo partire le indagini dei carabinieri.
Il legale di Bonavolta, l’avvocato Salvatore D’Antonio, porta avanti una linea difensiva diversa. Secondo il professionista del Foro di Napoli, nella vicenda non c’entrerebbero nulla, né la camorra, né la droga. La verità sarebbe tutt’altra. Bonavolta, secondo quanto appreso da VocediNapoli.it, avrebbe prestato la cifra in questione (350mila euro ndr.) a Del Vecchio, agente della Polizia penitenziaria, in servizio in Lombardia, per l’acquisto di un ristorante. L’uomo avrebbe giustificato la perdita della somma di denaro ricevuta producendo un falso verbale di polizia giudiziaria.
Insomma, alla base della vicenda – secondo la versione dell’avvocato – ci sarebbero delle motivazioni commerciali. Bonavolta, sentendosi truffato da Del Vecchio, avrebbe reagito in modo criminale. Quindi, per D’Antonio, anche l’aggravante mafiosa sarebbe inesistente.
Secondo il legale, Bonavolta (fratello di Mariano e Luigi finiti ai domiciliari in seguito ad un blitz dello scorso luglio contro il clan Mazzarella) apparterrebbe ad una famiglia di commercianti. Molti gli episodi, passati ed anche recenti, che hanno visto la famiglia come presunte vittime di racket. La prima, sulla quale è stata pronunciata una sentenza, riguarderebbe l’incendio di un negozio per la vendita di scooter all’ingrosso, di proprietà del padre di Bonavolta. L’episodio, prontamente denunciato alle autorità, portò alla condanna di diversi esponenti del clan Sarno.
Invece, a novembre del 2017 e a giugno dello scorso anno, prima una bomba e poi un incendio, hanno distrutto completamente un locale sito in via Pessina in pieno centro di Napoli. Anche questo esercizio commerciale sarebbe riconducibile alla famiglia Bonavolta. Di conseguenza, si chiede la difesa, come può una persona vittima di raid intimidatori di presunta matrice camorristica essere considerato un affiliato a un sodalizio? Sulla vicenda sono in corso le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) e tra pochi giorni il Tribunale del Riesame si pronuncerà sull’eventuale scarcerazione di Bonavolta.
di Andrea Aversa e Ciro Cuozzo
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