Si è svolto giovedì sera il secondo incontro della statunitense vincitrice del Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri con il pubblico, dopo aver ottenuto martedì sera al Mercadante il Premio Napoli “Internazionale”. La serata è stata dedicata alla presentazione del suo nuovo romanzo, “Dove mi trovo”, alla quale ha partecipato Domenico Starnone, autore di “Via Gemito” e amico personale della scrittrice. La sua presenza ha subito suscitato l’attenzione dei presenti per via delle voci di corridoio che vorrebbero Starnone, o la moglie, la saggista e traduttrice Anita Raja, come il volto dietro al nome della misteriosa Elena Ferrante.
Il commento di un astante sulla questione ha suscitato la reazione irritata dello scrittore, che ha commentato: “Sono felicissimo di essere al Premio Napoli come non sono felice che si accenni a tale questione. Lo dico subito: io non sono Elena Ferrante. Dunque, adesso procediamo a parlare di cose serie”. Suo infatti il compito di presentare Lahiri, che ha tradotto in inglese i suoi libri “Scherzetto” e “Lacci”.
Durante l’incontro Starnone ha ricordato ciò che uno scrittore è capace di fare, cioè “racconti che riescono a governare la vita che invece è confusa”, e ha proseguito poi parlando di Lahiri e delle sue opere.
E’ stata Lahiri, inaspettatamente, a parlare di Napoli e di come sia entrata in contatto con la città proprio grazie a Starnone, conosciuto sei anni prima. L’autrice ha poi risposto ad alcune domande sul tema dell’identità, che è al centro del suo romanzo “Dove mi trovo”. “Sono rimasta molto colpita – spiega – dalle riflessioni che il Premio Napoli ha voluto portare quest’anno sui problemi della migrazione e dei nazionalismi in un presente travagliato e travolgente” ha infatti commentato l’autrice di origini indiane, che ha scritto il suo ultimo romanzo interamente in italiano, quasi a voler simboleggiare il crollo di ogni muro culturale.
Una decisione, questa, che negli Usa ha attirato alcune critiche, mentre “a Napoli sono stata capita subito. La mia identità è un insieme di cose ed è sempre in mutazione”. Perché scrivo in italiano o perché mi dedico alla traduzione? Proprio per sentirmi sempre straniera”.
“L’identità multipla è comunque un dolore, tra il doversi uniformare e il rompere l’uniforme che sta stretta”, commenta Starnone. E questo, a suo dire, l’ha scoperto proprio dai libri di Lahiri.
“Stamattina” ha infine dichiarato l’autrice, “un amico napoletano mi ha portato in giro dal lungomare alla stazione centrale passando per negozi, una mostra e un pranzo. Così ho scoperto la parola intalliarsi… e la vita, in fondo, non è tutta un intalliarsi, magari su cose belle?”.
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