Ormai non si parla d’altro. A quanto pare la fine del 2017 e l’inizio del 2018 saranno ricordati come i periodi nei quali Napoli è stata vittima dell’invasione delle baby gang. Prima non esistevano, oggi esistono solo in questa città. Sociologi, politici, opinionisti, magistrati tutti che legittimamente discutono, si interrogano ed esprimono la loro opinione sul tema.
Tuttavia la verità, come spesso accade, sta nel mezzo e se andassimo a scovarla riusciremmo a scorgere due aspetti che tutte queste autorevoli analisi non possono permettersi di tralasciare: episodi come quelli che stanno accadendo in queste settimane non avvengono solo a Napoli ma il capoluogo partenopeo, anche in pieno centro, è caratterizzato da un forte degrado sociale ed economico. In questa città, ma in generale in tutto il Meridione, lo Stato da questo punto di vista è latitante se non per due tipologie di interventi: repressivo e assistenziale.
Il primo ha inculcato nella mentalità e nella cultura dei popoli “sudisti” che le istituzioni sono presenti solo per punire e presidiare. Il secondo li ha abituati a non emergere, sfruttando le possibilità che uno Stato deve concedere ai suoi cittadini, se non come “mantenuti” dalle politiche di welfare. In più e sicuramente non per ultimi, ci sono i dati allarmanti che delineano uno scenario più che preoccupante. Nello specifico quello relativo alla dispersione scolastica, al tasso di disoccupazione e al numeri degli “inoccupati”.
Se a queste considerazioni uniamo decenni di abbandono e non curanza, non possiamo pretendere che all’improvviso le nuove generazioni che vivono a Forcella, Scampia, Ponticelli, Rione Traiano, Quartieri Spagnoli e nella Sanità (senza contare la periferia) diventino tutti ingegneri, medici e architetti. Soprattutto, se fino a ieri intere famiglie hanno campato di spaccio, prostituzione, usura, estorsione, furti e rapine. In questi anni è scomparso il principio di mobilità sociale, cioè la possibilità dei più giovani di migliorare la loro condizione rispetto a quella dei genitori. Oggi questi figli di Napoli sono quasi senza scelta, condannati ad essere quello che sono stati i loro padri e i loro fratelli più grandi. Le conseguenze di questo fallimento sono evidenti: questa città e socialmente spaccata in due!
Non solo, ma coloro che vivono in condizioni sociali meno agiate, sono anche quelli che fanno più figli. Mentre, dai “borghesi” (ormai questo ceto sia socialmente che intellettualmente sta scomparendo) in su, stiamo assistendo ad una vera e propria crisi demografica. In prospettiva futura, quale blocco della società si troverà in maggioranza?
Ovviamente è un errore fare di tutta un’erba un fascio. In determinate zone della città c’è chi vive onestamente sopportando il circuito di illegalità che lo circonda, riuscendo anche a scoprire enormi squarci di umanità propri di tante persone “malamente“. Come sono in tanti coloro che riescono a farcela riuscendo a cambiare il proprio infausto destino. Lo stesso discorso vale per chi svolge attività socialmente utili in certi territori. Sono tante le realtà associazionistiche e basate sul volontariato che fanno moltissimo per questi ragazzi. Ma purtroppo agiscono senza il supporto dello stato e della Chiesa. Si, proprio lei. Quell’istituzione che vede ormai perso il concetto di parrocchia di quartiere, salvando sempre la pace di qualche prete di buona volontà.
E poi il tema giustizia, in un paese in cui il sistema carceri non funziona e cozza contro l’articolo 27 della Costituzione che prevede la riabilitazione in società del detenuto. Invece, chi ha a che fare con l’illegalità, è protagonista di un eterno ping pong, di un continuo entrare e uscire dal carcere, perché chi delinque lo farà per sempre. Chi varca i cancelli di una prigione, quando vi uscirà (se riuscirà ad uscirne), sarà una persona peggiore rispetto a come vi è entrata. E nel frattempo i suoi figli? Non è forse anche questa una responsabilità dello Stato?
Allora, mentre un giorno la colpa è delle famiglie, poi dei politici, poi della scuola (anche se in molti dimenticano che i professori devono insegnare e non educare) e infine di Gomorra, la narrazione di Napoli, tranne che per la breve parentesi di Napoli Velata, è passata dalla serie di Roberto Saviano a quella delle baby gang. Dalle paranze ai branchi. Come se non ci fosse altro in una delle città più belle e importanti del mondo.
Ma ora siamo nel pieno della campagna elettorale e lo spauracchio della sicurezza è uno stendardo che qualsiasi politico ama sventolare. Porta voti e consenso facili, travisando la realtà rappresentata da statistiche che affermano come siano in calo tantissime tipologie di reati. Il problema che gli unici rimedi sono “abbassiamo l’età punibile“, “più carcere“, “più polizia“, “di togliere i figli alle famiglie più cattive“, perché “Napoli, ormai, sta morendo“.
Nessun rimedio di lungo termine, nessuna visione su come deve essere questa benedetta società. Nessuna idea di come dovrà essere la Napoli del futuro.
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