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“Via i figli ai boss che li coinvolgono nei clan”, la decisione del Csm

Da tempo se ne parlava, ma solo adesso è arrivata la decisione del Csm (Consiglio superiore della Magistratura) in merito all’affidamento dei bambini figli di persone appartenenti a clan della camorra. I casi più recenti avvenuti a Napoli riguardano i figli del boss Umberto Accurso, reggente della Vanella Grassi e di Giulia Elia che aveva una piazza di spaccio in casa nel Pallonetto di Santa Lucia dove il confezionamento della droga avveniva davanti agli occhi della figlio minore di 8 anni.

Così si legge nella nota del Csm:

“È stata approvata all’unanimità la risoluzione della Sesta Commissione del CSM (relatori i Consiglieri Ercole Aprile e Antonio Ardituro), in materia di ‘tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata. La risoluzione, che nasce dallo studio del tema della tutela dei »minori di mafia« e del fenomeno delle »paranze dei bambini«, recepisce e valorizza gli interventi del giudice minorile per l’emanazione di provvedimenti volti a togliere o limitare la responsabilità genitoriale, qualora il giudice ritenga che la condotta malavitosa del genitore possa »cagionare un danno al regolare sviluppo psico-fisico del minore«, nello stesso modo in cui si interviene, per esempio, per i genitori alcolisti o tossicodipendenti. L’approfondimento consiliare nasce dall’analisi del lavoro svolto negli ultimi anni dagli uffici minorili maggiormente impegnati su questo fronte, in particolare quelli di Reggio Calabria, Napoli e Catania, dove si è constatato che nella prassi si è sempre più affermato l’utilizzo di provvedimenti di decadenza o limitazione della potestà genitoriale, fino ad arrivare alla dichiarazione di adottabilità”.

La delibera della Sesta Commissione riporta:

“La famiglia mafiosa agendo in spregio ai propri doveri di educazione e salvaguardia del minore, finisce per essere una ‘famiglia maltrattante, nei cui confronti deve essere operata una vera e propria censura». «L’intento della risoluzione consiliare – prosegue la nota – è quello di diffondere e valorizzare le esperienze positive messe in campo contro le attività criminali con una forte connotazione familiare, che spesso »negano l’adolescenza ai propri figli inserendoli sin dalla tenera età nelle dinamiche criminose dell’associazione mafiosa. Sarà il singolo giudice minorile a «valutare attentamente il caso concreto» esaminando anche l’ampio contesto territoriale e sociale in cui la famiglia del minore è inserita. L’intervento del giudice dei minori si rende necessario «nei casi di diretto utilizzo dei minorenni negli affari illeciti familiari; esposizione dei figli all’uso di armi e ad attività delinquenziali; assenza educativa per latitanza o lunga detenzione di uno o di entrambi i genitori; appartenenza di uno o di entrambi i genitori a sodalizi mafiosi”.

redazione

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