Se si volessero ricercare le origini della camorra a partire dal nome, si commetterebbe un errore madornale, e si finirebbe col credere che la camorra è un fenomeno nato nello scorso secolo. Un fenomeno lo era, in effetti, alle origini, tutt’altro che un’associazione. Ma è proprio sulle caratteristiche di quel fenomeno che bisogna incentrare l’indagine, non certo sul nome. Scopriremo così che la camorra ha una storia antichissima, e lo statuto che la istituzionalizzò nel 1842 non sanciva una fondazione, ma riassumeva un lungo percorso.
Tutte le storielle e gli aneddoti raccontate dai camorristi riguardo le origini della propria associazione hanno un elemento in comune: la Spagna. Ed è proprio lì che si cela il segreto per ricostruire quanto più fedelmente possibile una storia, quella della camorra, priva per ovvie ragioni di documenti ufficiali, e pertanto difficilissima da accertare. Spagnoli e napoletani entrarono seriamente in contatto a partire dal 1400, con la Napoli aragonese.
La progenitrice della camorra, intesa come associazione, fu invece quasi certamente la Confraternita della Guarduna, nata in Spagna nel 1417, e sgominata dalle forze di polizia solo quattro secoli più tardi, nel 1822. Il destino vuole che proprio in quegli anni, nel 1820, a Napoli nascesse ufficialmente la camorra, sotto il suo primo nome di “Bella Società Riformata”, nella Chiesa di Santa Caterina a Formiello a Porta Capuana.
Di entrambe le associazioni a delinquere possediamo gli statuti. La Confraternita della Guarduna mise nero su bianco le proprie regole a soli tre anni dalla propria fondazione. Nel 1420 El Camilludo firmava a Toledo la prima copia dello statuto. Per una copia scritta dello statuto napoletano bisognerà attendere invece il 1842, anno in cui, sempre nella chiesa di Santa Caterina, furono pomposamente letti i 26 articoli dello statuto, detto Frieno, destinati a rimanere definitivi.
Prima del 1842 ci sono però secoli di storia, che val la pena di ripercorrere, brevemente per quanto possibile. Nel 1647 è attestata la presenza della “Società dei Mastri Ferrai”, i quali traevano proventi dalle altrui attività di import-export, chiedendo denaro in cambio di protezione. Seguirono la “Compagnia della Morte”, la “Società degli Impaciati”, la “Compagnia degli Smanicatori”, gli “Abati di Mezza Sottana”. I nomi per il malaffare a Napoli furono tanti, ma le caratteristiche poche: estorsioni, angherie, rifiuto del furto e della politica.
Altra caratteristica, l’organizzazione nelle carceri. Gruppi di prevaricatori costringevano i nuovi arrivati a pagare come “tassa d’ingresso” il denaro necessario a comprare l’olio delle lampade. Ma questa era la più simbolica delle tasse. In carcere restavano impuniti i peggiori crimini, il più frequente dei quali era lo sfregio. Questo fenomeno dilagava anche all’esterno, tanto che si cercò di porvi rimedio con leggi ad hoc, ma uomini e donne sfregiate erano all’ordine del giorno, per motivi d’amore o rappresaglia.
Agli inizi del 1800 tutte le istanze camorristiche si costituivano ufficialmente associazione nella già citata chiesa di Santa Caterina, con rituali e strutture che ricordavano da vicino quelle carbonare. La Bella Società Riformata si divideva in Società Maggiore e Società Minore. Non si poteva accedere alla prima se non dopo una lunga ed imprescindibile gavetta, che garantiva l’ascesa solo dopo l’accertamento dei meriti.
Si cominciava a diventare “Giovanotto Onorato” sottoponendosi alla prova dei 100 coltelli: trafugare una moneta per terra, accerchiato da affiliati pronti a colpirla coi propri coltelli. Passo successivo: picciotto. Evoluzione: Picciotto di Sgarro. E poi si aprivano le porte della Società Maggiore, con tutti i vantaggi economici che derivavano dalla spartizione dei proventi del racket delle estorsioni.
La struttura della camorra, più nello specifico, consisteva in un vertice, nominato per meriti, chiamato Capintesta. I dodici quartieri di Napoli avevano ognuno il proprio rappresentante nel Capintrino, a capo della paranza. Non poteva mancare in una organizzazione che non tollerava altre autorità che Dio e se stessa, il tribunale. La Gran Mamma era il tribunale per i membri della Società Maggiore. La Piccola Mamma, il tribunale per quella minore.
Interessante anche l’articolo 20: “Chi fu implicato in qualche furto o viene riconosciuto come ricchione non può essere mai capo”. Così come il 18, che regolamentava le controversie tra membri della camorra: “Il dichiaramento si farà sempre dietro parere del capintrino, se trattasi di picciotto o di giovanotto onorato e dietro parere del capintesta, se di camorrista. Ai vecchi e agli scornacchiati (cornuti) sarà vietato di zompare”.
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