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Karim Franceschi, l’italiano che si è arruolato per combattere l’Isis

Karim Franceschi, attivista politico, è stato l’unico italiano che a 25 anni ha preso parte, nel gennaio del 2015, alla resistenza in Siria. Figlio di un partigiano, morto quando lui aveva solo 12 anni e madre marocchina, è partito come volontario per garantire aiuti umanitari nei campi profughi di Kobane. È stato in quel contesto, dopo aver parlato con due adolescenti costretti ad imbracciare le armi, che ha sentito il bisogno di scendere personalmente sul campo di battaglia.

Quando è arrivato a Kobane, la città curda si reggeva a stento in piedi, lui era al “sicuro” nella parte più comoda e conveniente della città. Mentre dall’altra parte i veri rivoluzionari, i compagni e le compagne, rischiavano la loro vita per una causa maggiore. Karim ha sentito, così, il bisogno e la necessità di aiutare in maniera più incisiva chi lottava in prima linea. Dopo un breve addestramento di circa una settimana, è stato “battezzato” con il suo nome da battaglia: Marcello.

Unitosi allo YPG (unità di protezione del popolo) è divenuto velocemente un combattente, per poi divenire un membro di un comando, e successivamente è stato arruolato nella squadra di cecchini. Ha combattuto contro l’esercito del Califfato, portando fino in fondo l’impresa della liberazione della città. In una sua intervista ha dichiarato: “Ciò che vedi nei video è la guerra e le dinamiche d’azione ma dal vivo è completamente un’altra situazione, tramite lo schermo non percepisci il freddo, la paura. Quando ci sei dentro, hai tutto un accumulo di fatiche, di stress, di paure, che per una persona che non è un veterano, sono emozioni difficili da gestire“, il ragazzo continua, affermando, “Ci sono stati momenti in cui la tensione era fin troppo elevata, ero arrabbiato, stanco o impaurito e volevo semplicemente andarmene. la verità è che non l’ho fatto per miei compagni, non volevo abbandonarli“.

Attualmente, l’Isis in Siria e Iraq sta perdendo terreno, ma come si può notare dagli attentati terroristici, si sta spargendo nel resto del mondo. Ad oggi il loro livello qualitativo di propaganda è molto alto, convincono e reclutano giovani sempre più disperati e ai margini della nostre società. La colpa è anche nostra, che a fronte di processi di mediatizzazione e di divulgazione della mala informazione non facciamo altro che alimentare pregiudizi e pareri sbagliati nei confronti di persone, la cui religione non ha nulla a che vedere con le atrocità che l’Isis attua.

Dall’11 settembre 2001, la figura di un arabo, di un musulmano, ha sempre avuto un ruolo estremamente negativo all’interno della cultura occidentale. L’Isis sfrutta le nostre divergenze, la nostra disgregazione, per riempire quei vuoti e radicarsi velenosamente all’interno del nostro mondo. Insomma, mentre gli xenofobi vogliono cacciar via chiunque non sia considerato occidentale, lo Stato Islamico li accoglie a braccia aperte: “Questa è la vostra terra, il vero nemico è tutt’altro!“.

Intanto, Karim continua la sua di propaganda, e grazie al contributo di un giornalista, Fabio Tonacci, ha scritto il suo libro: “Il combattente“.  Con la vendita del volume spera di aiutare la causa, anche se lontano da Kobane. L’intento è quello di ricostruire le case distrutte dalla guerra per dare un minimo sollievo a chi vive lì in quella disperata situazione e contribuire alla ricostruzione della stessa città, distrutta dalle bombe.

giovanni d'alessio

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